Il Momento della Verità

 

C’è quell’attimo sospeso nel tempo in cui il torero sta li, mano alla spalla con l’estorque puntata davanti a lui ed il toro che gli arriva addosso nell’ultima carica….il momento della verità.

Non mi interessa come la pensiate sulla corrida, non sto parlando di quello, mi interessa quel solo istante.

Arriva per tutti, non sai quando e non sai come, ma quando arriva lo riconosci, perché ci sei solo tu che affronti te stesso. Perché sei toro e matador insieme e solo uno dei due sopravvive. Una parte di te muore e quale sia dipende solo dalla decisione che prenderai in quel momento.

Voi direte che succede tutti i giorni, per tutte le decisioni che ci troviamo a prendere. Non è vero. È quando arrivava quella che conta che lo sai.

Magari sei lì, di prima mattina, come tutte le altre mattine davanti ad uno dei tanti specchi in cui ti sei visto invecchiare ed improvvisamente ti rendi conto che non hai altra possibilità che affrontarti.

Metti a fuoco tutta la tua vita. La conosci, l’hai vissuta istante per istante, ma la vedi per quello che è solo in quel momento. Senza veli, senza aggiustamenti, senza pietà.

Le tante illusioni e le poche certezze. Quello che sognavi e quello che hai costruito. I compromessi tra quello che hai e quello che vuoi realmente. Tutti gli amori e l’amore che desideri. Piacere o piacerti.

È in quel momento ti ritrovi a dover scegliere. Qualunque scelta farai una parte di te morirà e l’altra sopravviverà.

A me è accaduto oggi.

Non so ancora esattamente cosa farò da domani, ma ho appena ucciso me stesso e mi sento meglio.

 

 

Perchè i Lupi Ululano alla Luna

 

Ci sono giorni che le budella si attorcigliano in un languore infame.

Basta qualche cosa di bello che ci coglie l’occhio, un atmosfera particolare, una musica che ci prende a tradimento l’animo.

Quel malessere diventa insopportabile, una voglia di emozioni che scava nel profondo e si torce come una lama.

Vaffanculo alle convenzioni, al senso del dovere, a tutto quel che è stato e oggi non è più.

Che per sempre è un inganno….e fortunato chi ce l’ha.

E sono consapevole di essere solo un uomo, con difetti e cicatrici mal rimarginate e non sopporto quelli che non credono forte chi si ferisce al cuore…e prova dolore.

Non sarò mai meglio di cosi e mi basta, che si è perfetti solo per se stessi ed agli occhi dell’amante.

Voglio solo sentire il battito del cuore e sapere che sono vivo, uno stupido sorriso che sia faro nelle mareggiate della vita e mi guidi in porto alla fine della giornata.

Un abbraccio come calda taverna e promessa di ebbrezza e passione.

E sarò implacabile nel ricercare rossori strappati con gli ultimi veli di pudore, fiutando desideri nell’odore della pelle, da esplorare a palmi e lembi tra sussurri e rapidi respiri, muscoli ed ossa da piegare ai più sottili piaceri, per poi abbandonarsi a labbra saporite di cannella e saliva.

Rimanere senza più fiato e difese, solo carne viva .

Quando sono così nudo al sentimento, basterebbe una carezza per portarmi via….per sempre…..o fino a domani.

Non importa.

Sono un sognatore…..e meglio sarebbe tornare a casa solo, sbattere con la porta il mondo fuori e buttarmi sul divano.

Abbandonare i muscoli del collo e prendere la chitarra in mano.

Suonare un pezzo come me…..vecchio.

Aspettando che svanisca la luce.

E buonanotte al secchio.

Non si sfugge al proprio destino

 

Ancora una volta si ritrovava davanti all’unico scontro che non era possibile vincere da solo, a tirare le somme di un possibile che gli sfuggiva tra le dita.

I sogni sono come bolle di cristallo e le sue mani erano troppo callose.

e la guardò ancora una volta…..

Aveva sperato che lo portasse via dalla sua guerra infinita, di poter trovare insieme quel luogo interiore dove l’animo trova pace, ma è difficile mettere da parte il male di una vita.

Lui che non temeva nulla, neanche la morte….che una malattia subdola era pronta a ghermirlo senza preavviso. Che aveva affrontato qualunque scontro, anche in assoluta inferiorità, con la sola certezza nella sua ferina capacità di sopravvivenza.

A lei aveva mostrato le ferite, i difetti, le debolezze…..la goffaggine di quel cuore, che davanti all’amore esita ed inciampa. La sua anima vulnerabile solo ad occhi profondi di dolcezza ed una voce gentile, che sola poteva superare le difese e piantargli una lama nel costato.

Era solo un combattente, uno abituato ad affrontare la vita come uno schiacciasassi, vigile nel prevenire i pericoli e pronto a colpire per sopravvivere….. uso al sospetto, più veloce del pensiero.

Sarebbe bastato un “sei uno sciocco, ma ti amo come sei” e lasciar uscire i sentimenti con semplicità ed invece tra loro era fluito un fiume di parole, sottili accuse e astute difese, un dialogo in cui ognuno parlava con se stesso a difendere il proprio dolore, il proprio orgoglio, le proprie ragioni.

Vittorie inutili in amore.

Si era perso, confuso tra verità che si comprendono solo con i fatti.

Raccolse l’armatura che aveva momentaneamente poggiato da un lato e la reindossò, attento a stringere bene ogni cinghia così da non lasciare nessun varco aperto, sistemò le lame pronte per essere estratte alla massima velocità, affilò gli artigli e misurò le zanne allo specchio.

Non si volse più….che quel volto era tatuato a fuoco nel cuore. Se avesse dato dolore lo avrebbe strappato via con le unghie.

Trasse un sospiro, rilassò il diaframma e tese i sensi. Andava a fare l’unica cosa che sapesse fare…. sbranarsi con altri demoni come lui. Non si sfugge al proprio destino.

Aprì la porta ed uscì nell’Inferno.

L’Uomo Nero

 

By Luigi Briselli

Uscì dal bosco, attraversò rapidamente il prato a lunghi passi e si infilò in uno stretto vicolo tra le prime case del paese. Poche svolte e fu nella piazza, proprio dietro ai bambini che giocavano nel giardinetto, tra il monumento ai caduti della grande guerra e la fontana. Presi dai loro giochi se lo ritrovarono davanti all’improvviso.

Una figura alta, barbuta, con un cappellaccio a falde larghe di feltro, il tabarro avvolto intorno al corpo, stivali pesanti ed un lungo bordone nodoso.

Gli occhi si spalancarono per la sorpresa. Poi fu un parapiglia di grida e gambe in fuga precipitosa:

L’uomo nero”.

“E’ arrivato l’uomo nero”.

Sorrise sotto i baffi e proseguì imperterrito verso lo spaccio dove si recava quando aveva bisogno di qualche cosa.

Erano poche case arroccate sulle pendici del preappennino vissute con tranquilla monotonia. Bastava poco per creare un evento e permettere alla gente di parlare e sparlare ai crocicchi, al bar o la sera a casa.

Insomma vita di paese.

E lui era proprio uno di questi eventi. Un forestiero eccentrico arrivato tanti anni prima che i più giovani credevano fosse sempre stato lì ed i vecchi confondevano le date e occupavano i tempo a discutere sul come e quando tra un “sono sicuro” e un “ricoglionito”.

Era solo un pensionato, fuggito dalla città e dal passato, arrivato in quel paese per l’annuncio di vendita di un piccolo podere isolato tra castagni e faggi ad un paio di chilometri dall’abitato. “Su sulla costa della collina, proprio sopra il vecchio sentiero dei carbonai, al bivio con la Vecchia e non si sbagli che scavalla e si ritrova all’altro paese”.

Si, questo cercava, pace ed una bella vista a poco prezzo.

La Vecchia era una quercia secolare e non ci si poteva sbagliare. Su quel bivio, con quella quercia, fiorivano leggende e storie arcane, che tutti i paesi che si rispettino ne hanno uno, sennò che raccontano i nonni ai bambini la sera prima di andare a dormire? Sperando che poi non si allontanino troppo da casa, che quelli ti spariscono sempre a more e rane, o almeno tornino prima che faccia buio.

Una volta portavano pecore e capre al pascolo, ma ora non si usa più e vanno a scuola al paese vicino con la corriera, no anzi si chiama pulmino, ma è uguale e poi il pomeriggio si ritrovano in piazza vicino alla fontana.

Proprio dove era comparso lui, bello coperto per ripararsi dal freddo e l’umido dell’autunno nelle sue lunghe passeggiate per i boschi a cercare funghi, piante medicinali o commestibili, frugando con il bastone tra i cespugli, ché così si teneva in allenamento.

I primi tempi il grosso bastone nodoso lo aveva portato nel caso incontrasse qualche animale pericoloso, soprattutto cani randagi spelacchiati ed affamati, che i lupi non ce ne erano più e certo non si avvicinavano all’uomo, ma presto era diventato un comodo aiuto e lui aveva imparato a muoversi in silenzio ed in armonia con l’ambiente. Gli animali lo guardavano con sospetto, ma senza particolare timore, avendolo ormai catalogato per innocuo, e lui si godeva la loro compagnia durante i suoi pellegrinaggi solitari.

O almeno così amava pensare, quando incontrava la volpe o vedeva, a poca distanza, i caprioli che lo guardavano attenti per un attimo e poi sparivano rapidi per la loro strada.

I fagiani, invece, non che sono molto furbi e si fanno sempre sorprendere, per poi spaventarsi e frullare via nel loro volo sgraziato. Ma i loro richiami li senti ovunque ci sia un po di macchia e tranquillità. Sempre intorno alla casa. Gli facevano compagnia all’alba o la sera, come nei sonnolenti pomeriggi estivi.

Insomma stanno sempre tra i piedi.

E quindi, dicevamo, che comparve all’improvviso nella piazza, come al solito da una direzione diversa, che dipendeva da quali sentieri aveva percorso, e come sempre inaspettato. Entrò nel negozio. Pochi saluti come si conviene e la lista della spesa.

La sua cortesia pacata, ma distaccata, contribuiva all’alone di mistero che gli si era creato attorno, proprio come voleva per non essere disturbato. Non che non amasse la gente, ma preferiva osservarla con distacco. I tempi della condivisione erano passati con gli entusiasmi della gioventù e le delusioni della maturità.

Così, messo quanto gli serviva della borsa di pelle, che portava a tracolla sotto il tabarro, con un ultimo saluto si avviò verso casa.

I bambini ancora lo guardavano a distanza sussurrando tra loro intimoriti.

A scuola lo stregone del paese era il loro vanto, mica le fesserie e le sparate grosse degli altri.

Un conto è sentire una storia raccontata dai vecchi mentre si cena, altra cosa è vedere con i propri occhi l’uomo nero in carne ed ossa, grosso, minaccioso, terribile. Con lo sguardo di fuoco che se ti fissa ti penetra fino alle budella e te la fa fare sotto. Che appariva e spariva a suo piacimento e chi più ne ha più ne metta, che la fantasia dei giovani è fervida.

Il vecchio scelse il sentiero che lo avrebbe portato dove cresceva l’elicristo. Con il freddo era arrivata la tosse e qualche bella tisana gli avrebbe fatto bene. Molte piante se le coltivava da se in un bel giardino all’italiana messo su con i principi della permacultura, tra spezie per cucinare e piante che tenevano a bada i parassiti. Un bel disordine ordinato di cui era molto fiero.

L’aria non era troppo fredda e le gambe sentirono poco il peso dei suoi acciacchi durante la lenta passeggiata verso casa.

Si fermò anche ad osservare i volteggi di una coppia di poiane in caccia.

Il loro volo era ipnotico ed era quasi sera quando arrivò alla sua dimora.

Un bel casale, ristrutturato con discrezione secondo i criteri della bioarchitettura, i pannelli solari sul tetto e la pala eolica sul comignolo del camino. Il sistema di recupero dell’acqua piovana che alimentava il pozzo e l’orto più sotto.

Il pesante portone di castagno rinforzato di ferro, che aveva trovato da un rigattiere di campagna e fatto restaurare, era sovrastato da un architrave di pietra con le gargolle ai lati e sul vertice, recuperate lui solo sapeva dove e di cui era particolarmente fiero.

Lo aprì lentamente ed appese cappello e tabarro nel piccolo spogliatoio, poi attraversò il salone, i passi ovattati dai tappeti persiani. Le pareti erano ricoperte di quadri in mezzo ai quali campeggiava il grande schermo dell’impianto home theatre.

E libri, libri ovunque.

Salì le scale che portavano al piano superiore ed entrò nello studio dalle pareti ricoperte di librerie, interrotte solo da un bel caminetto con la legna già ammucchiata al suo interno e, sul lato opposto, da una grande finestra rivolta ad ovest. Accese lo stereo, lasciando scaldare le valvole qualche minuto, mentre sceglieva un disco. Con cura lo pose sul piatto e poggiò la testina con una certa imprecisione ed un attimo di stizza per la sua mano non più ferma. Raggiunse la sua amata poltrona da lettura, sistemata davanti alla finestra, mentre le note del Perigeo si liberavano dipanandosi nell’aria.

Si sedette con l’aiuto del bordone e lasciò scorrere lo sguardo stanco sulla splendida vista della valle sottostante tenendolo ancora saldamente in mano. Tirò un profondo sospiro, per un istante guardò il libro poggiato sul tavolinetto lì vicino, poi abbandonandosi all’abbraccio dello schienale, si concentrò sul tramonto che trionfava davanti ai suoi occhi.

Si agitò a disagio, la sensazione di aver dimenticato qualche cosa.

Ci pensò un attimo, infastidito……freddo, freddo nelle ossa.

Lo sguardo si volse al caminetto vicino, eppure così lontano dalla poltrona sulla quale si era appena accomodato.

Sbuffò e borbottò alcune parole.

Schioccò le dita.

Il fuoco si accese.

 

 

Tangerine Dream

L’elettronica è pura sperimentazione, è la possibilità di esprimere direttamente una sensazione attraverso dei suoni. La musica tradizionale si muove sul ritmo del battito cardiaco, l’elettronica è il respiro. Io almeno la vivo così e così la suonavo. Non ve lo avevo detto? Poco male. Con il gruppo suonavo punk, ma da solo viaggiavo con la mente nel cosmo. Zeit, il tempo….la follia del genio tedesco nel quale mi ero perso inseguendo l’immaginario. Suoni come colori stesi su un dipinto che va oltre le tre dimensioni.

Potete immaginare come stavo quel pomeriggio mentre andavo al concerto dei Tangerine Dream insieme ai miei amici, ma non potete immaginare come era Cindy.

Me l’aveva presentata pochi giorni prima Safia, la ragazza di uno dei gemelli in una uscita al buio.

Come è la tua amica?”.

Jaws”. Mi aveva risposto ridendo. Si erano entrambe mezze americane. Safia arabo-americana e Cindy franco_americana, studiavano tutte e due in una scuola madrelingua a Roma.

Uno squalo?”. Avevo fatto io perplesso pensando al film di Spielberg.

Vedrai, vedrai…”. E rideva ancora di più.

Senza tante storie le mandibole sono cadute a me, quando mi sono trovato davanti un pezzo di americana a cui non mancava proprio nulla, anzi ce n’era d’avanzo.

Alta, con lunghi capelli castani, due metri di gambe e un culo spettacolare.

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Ha gli occhi persi nei sogni e parla, parla, parla veloce ed io non capisco un cazzo. Poi mi fissa con malizia e so tutto. Ha già posato per Vogue, mi dice, ed io ci credo e come se ci credo.

Insomma sto andando a vedere i Tangerine con una donna bellissima che mi sta incollata addosso, non posso chiedere di più…non è vero…passatemi la canna.

Il Palasport è quasi pieno. In quel periodo la gente ha fame di musica e si fionda a qualsiasi concerto, così tanti sono lì senza neanche sapere chi sono andati a sentire. Rubo i commenti della gente.

Ma chi so questi?”

Bhoo…so tedeschi”.

Ma che musica fanno?”.

Fra poco lo sentite che fanno, penso tra me, e già mi immagino le facce.

Il Palco è scarno. Dietro le cataste degli amplificatori c’è un immenso telo argentato, davanti pile di computers. Noi ci sistemiamo per terra proprio al centro del palazzetto e cominciamo a chiacchierare e rollare.

Cindy mi parla in americano, io capisco la metà di quello che dice, ma fisso quelle labbra come se volessi rubare direttamente da lì il senso delle parole….le sorrido, in realtà la vorrei solo baciare. Lei lo sa, mi guarda con il suo sguardo malizioso, sorride a sua volta e continua a raccontarmi della scuola, dei suoi divorziati e di suo padre che vive a Parigi. Vuole scappare ed andare da lui.

Quando?” Le chiedo.

Domani”. Risponde lei. “Oggi voglio vedere il concerto”. E scoppia a ridere.

Io la bacio e lei ci sta.

Si spengono le luci….il concerto inizia. I tedeschi entrano, precisi da ingegneri e parte una nota profonda, rimane sospesa nell’aria e poi pian piano arrivano le altre, si sovrappongono e partono i sequencers. Fasci di luci colorate si puntano sul telo argentato e cominciano a danzare. È un tessuto che reagisce e si muove con la musica. I colori si mischiano in un incredibile effetto psichedelico e noi veniamo travolti da un muro di suono. La portante che attacca il diaframma mentre tutte le altre note rimbalzano impazzite nel cervello e noi ci perdiamo mentre fumiamo tutta la valle di Ketama.

La musica mi riempie le orecchie, Cindy i miei sensi. Cominciamo ad esplorarci seguendo il suono. Le bacio il volto pian piano e lei vibra. Poi tocca a lei. Mi lecca il collo…morde. Le mani sono ovunque.

Dimentichiamo tutto e tutti, ci siamo solo noi e la musica. L’elettronica ha un effetto devastante sulle percezioni, tutto è amplificato o forse è solo il desiderio, ma che importa…..non vi so dire neanche che pezzi hanno suonato i Tangerine. So solo che il tempo era sospeso, esistevamo solo noi adesso.

Ad un certo punto siamo come impazziti. Vogliamo di più, ma siamo in mezzo a migliaia di persone, non che ce ne freghi molto, ma…lei ha una tuta intera e non se ne viene a capo in un modo minimamente decente. La mie mani percorrono tutte le strade del cosmo finchè il suo cavallo è fradicio.

Tutti si alzano in piedi e noi con loro.

Lei mi guarda con gli occhi stravolti.

Tu non sei venuto”. Mi sussurra all’orecchio. Si gira e mi si poggia addosso. Poi inizia lentamente a danzare muovendosi a tempo con la musica dei Tangerine Dream. Alza le braccia al cielo, con le mani disegna arabeschi mentre balla e si strofina. Io le prendo i fianchi e ballo con lei.

La musica finisce ed io pure.

Il pubblico esplode in un applauso con fischi e grida. Chi ama i Tangerine Dream applaude loro…..gli altri, sulle gradinate, fischiano, ridono ed applaudono noi.

Torniamo con i piedi per terra e ci rendiamo conto che tutti quelli che erano sul campo del palazzetto dello sport si sono accalcati sotto il palco e noi siamo rimasti soli a ballare per il resto del pubblico. Ci guardiamo rossi in viso e sbottiamo a ridere.

Che concerto!

Vento di Bolina

 

La musica usciva dal boccaporto e la borsa refrigerante piena di birre era al centro del pozzetto. Il vento toscano è sempre dolce nella stagione estiva, si rischia bonaccia e si devono aspettare le sei del pomeriggio per ritrovare qualche refolo, ma quella mattina il 32 piedi solcava l’acqua spinto da una brezza che sembrava spirare direttamente dai polmoni dei quattro amici.

Si conoscevano da una vita. In fuga, lasciata la comitiva, niente donne. Solo loro, birra, musica, sole e mare.

Manfredi penzolava le gambe fuori dalla murata, le braccia abbandonate sulla battagliola, una birra in mano. Hank Trunk manco a dirlo, svaccato nel pozzetto, la borsa refrigerante a portata di mano. Prezzola, predicava bene e razzolava male. Marietto al timone, era astemio, ma si ubriacava come gli altri.

Rotta isola d’Elba, che Marietto aveva una sorta di appuntamento nautico con delle amiche in rada a Porto Azzurro. E così le miglia scorrevano lisce tra bevute e ricordi di tutte le cazzate che avevano fatto insieme.

Il mare crea una particolare intimità, fa bene all’amicizia, vele gonfie, niente puzza ne rumori. Solo il vento, lo sciabordio dell’acqua e le loro cazzate. Insomma…totale relax.

Il pomeriggio entrano in rada, tender in acqua e recupero delle amiche a terra. Sono cinque, carine e simpatiche che solo Marietto sa dove le trova. Per la serata con le tipe hanno organizzato una cena in barca che Manfredi e Marietto cucinano da dei. Gli altri due mangiano da orchi e tutti bevono da maiali. Le tipe hanno portato il gelato e i biglietti d’invito in una discoteca, ma c’è ancora tempo e dopo cena Manfredi tira fuori la chitarra mentre Hank Trunk passa da una all’altra cercando di capire come svolta la serata.

 


La notte è appena iniziata e tutti sono già belli alticci. Una delle tipe mette su musica tecno e si mettono a ballare dove capita.

Manfredi è appena fuori dalla luce del pozzetto e guarda la scena, improvvisamente prende la macchina fotografica e spara:

“Ok, mi serve una modella”.

“Eccola!”. Cinguetta una bionda, abbronzata che sembra verniciata a coppale, con i tatuaggi che escono da ogni angolo del poco di stoffa bianca che ha addosso.

A prua la luce non arriva, è notte fonda, Manfredi assicura i polsi della bionda alle scotte del fiocco arrotolato allo strallo. Braccia in alto sopra la testa la tipa si abbandona ed inizia a ballare occhi chiusi.

 


Le sequenze di scatti si susseguono veloci. Il flash della macchina fotografica è luce stroboscopica.

Lei è puro sesso……lui la possiede attraverso l’obiettivo, stampata bianco e nero verrà fuori una sequenza fotografica di incredibile sensualità.

Lui le si avvicina per scioglierle i polsi, lei gli si abbandona contro e gli sussurra nell’orecchio:

“Ora si va in disco”.

Il gioco è così e lei gioca bene.

La discoteca è sulle montagne dell’isola e le tipe rimediano un passaggio per tutti con l’aiuto di altri amici del posto.

 


Solita storia, tecno a palla, luci che sparano e drink che vanno giù uno via l’altro, tanto sono entrati gratis e i soldi vanno tutti in alcool. La bionda conosce il disc jokey, che deve essere un gran figo perchè lei ed una mora litigano, si insultano, ma la bionda la spunta e dopo un po sparisce e se lo porta nel cesso. Manfredi incassa e si fa un altro drink, non va sempre bene ma non gliene frega poi molto, è lì con gli amici e questa è la sostanza di quel viaggio.

 

 

E qui li colpisce la sfiga. Mentre ballano con impegno una nocca di Manfredi sfiora i denti di Hunk Tunk e quello rimane con mezzo incisivo in mano. Smoccola in aramaico mentre Manfredi guarda perplesso la finestra in bocca all’amico. Radunano gli altri due amici per tornare alla barca, ma una delle macchine con cui sono arrivati è della mora che, incazzata per non essersi fatta il disc jockey, è saltata su ed è tornata indietro. La bionda aspetta il disc jockey e delle altre non c’è traccia. Così degli sconosciuti li portano fino a Porto Ferraio e li mollano lì.

Sono le quattro di mattina, i nostri amici sono fatti fradici, stanchi ed infreddoliti. Marietto, l’astemio, si è ubriacato ed ha un mal di testa della madonna. Hank Trunk ha mezzo dente in bocca e mezzo in mano che sembra un personaggio di Samuel Delany, Manfredi lo guarda costernato e ancora non capisce come cazzo gli ha potuto rompere un dente sfiorandolo. Prezzola, un po più lucido degli altri, guarda l’orario dei bus per Porto Azzurro. C’è da aspettare la mattina.

Si accomodano come possono sulle panchine e provano a dormire. All’alba sono sfatti, indolenziti ed incazzati, i nervi a fior di pelle. Parlano poco mentre sorseggiano cappuccino caldo per scaldarsi. Il viaggio in corriera è silenzioso. Il tender è in acqua, ormeggiato ad una boa, e la marea è salita. I moccoli si sprecano ma riescono ad arrivare alla barca.

Si salpa.

Manfredi si mette al timone. Pian piano comincia a sentire l’acqua attraverso il legno che vibra sotto i piedi, le mani che colgono il vento sul timone, riacquista il senso del mare. Poggia. La barca sbanda dolcemente. Il sole gli scalda il viso ed il corpo stanco scompare, mentre da un punto poco sopra l’ombelico viene preso e trascinato dal vento di bolina.


Sorride…..rotta verso casa.

 

Una Donna

 

Era seduta al tavolo di un bar, in una tiepida giornata d’autunno. Il sole aumentava il contrasto tra i colori pastello della camicetta e del giubbotto di pelle ed il nero del resto dell’abbigliamento.

Composta, eppure con un atteggiamento e delle pose da ragazzina noncurante dell’apparenza, era concentrata su un blocco pieno d schizzi ed appunti come se il mondo intorno non esistesse, il cappuccino lì a raffreddarsi come se servisse solo a farle compagnia.

Ogni tanto allungava distrattamente la mano a prendere un biscotto dal piattino sul tavolino e lo portava alla bocca…per poi fermare il gesto, riposarlo e riprendere a scrivere. Appena soddisfatta di quello che aveva appuntato sul blocco, allungava rapida la mano e faceva sparire il biscotto tra le labbra ed i denti fermandosi per qualche istante a pensare e gustare il sapore del dolce.

 

 

Era l’insieme degli atteggiamenti che mi aveva colpito. Quel gustare vita, sole, pensieri e piaceri del palato così senza distinzione ma pienamente. Quelle espressioni di soddisfazione ogni volta che una di queste cose le dava la giusta sensazione. Si proprio questo. La tipa se ne stava al bar a proprio agio come fosse a casa sua, il mondo intorno era d’arredo. Ed io stavo lì tranquillo a godermi la scena di questa sconosciuta con gli occhi pieni di fragili sogni e la forza della certezza interiore.

“Sognatrice ma di carattere”. Pensavo….quando si avvicina il solito tanghero che sputa fuori la solita frase idiota:

“Ma cosa ci fa tutta sola una così bella donna…..non si annoia? Posso tenerle compagnia?”. E sfoggia un sorriso demente che nel suo intento avrebbe dovuto ammaliare la femmina di turno.

Faccio appena in tempo a domandarmi cosa avrebbe fatto la tipa che quella tutta serafica solleva due lame di occhi e sputa fuori:

“No da sola non mi annoiavo, ma lei potrà sicuramente riuscire nell’impresa”. Il tanghero rimane un attimo perplesso, la frase è troppo difficile per lui. “Allora che fa…mi annoia o preferisce andare ad annoiarsi da solo da qualche altra parte?”. Rincara la tipa e quello balbetta qualche cosa e batte in rapida ritirata.

Lei ridacchia tra se soddisfatta, scuote i capelli neri e torna al suo blocco.

 

Rido sotto i baffi. “Ho indovinato…decisamente di carattere”. Sono rilassato, mi diverte e non intendo disturbarla…ho già notato la fede al dito…non che mi spaventi, ma va bene così…..vorrei solo sapere cosa sta buttando giù su quel blocco.

  

Improvvisamente le squilla il telefono….lei ascolta…risponde…poche parole, prende tutto si alza e si allontana con passo danzante sui tacchi.

Dal blocco vola fuori un foglietto. Mi alzo, lo raccolgo e faccio per chiamarla. Sbircio per soddisfare la mia curiosità….c’è una poesia.

Alzo gli occhi e lei è davanti a me:

“Le piace?”.

“Si…molto…complimenti è davvero bella”.

“Grazie”. Mi leva il foglio dalle mani, mi sorride con uno sguardo malizioso e furbo….si gira e si allontana facendomi ciao con la mano.

 

A volte si fanno proprio dei begl’incontri. Posso tornare a casa.

 

 

Questo racconto l’ho scritto su richiesta di una cara amica. E lo dedico a lei ed a tutte le donne che incontro ogni giorno. Che lavorano, che si battono per affermarsi, che lottano contro antichi pregiudizi e quotidiane sopraffazioni e violenze. Perchè una donna si può e si deve ammirare per quello che è.

La Ballata di Seli ed Aero

 

 

 

Il gruppo di guerrieri si muoveva nel profondo della foresta. Con calma, piede sicuro e silenzioso. Erano pochi ed erano vecchi, ancora meno i giovani che li accompagnavano, ma avevano preso la loro decisione.

 

Da troppo tempo la gente dei villaggi e delle tribù era china sotto il giogo dei Clan del Cielo. Pochi giovani tentavano l’opposizione nei villaggi e nelle valli, troppo pochi, troppo isolati. Il resto della popolazione sembrava rassegnato, incapace di reagire.

Questo aveva spinto i vecchi guerrieri a riunirsi. Erano gli ultimi che avessero combattuto realmente in guerra. Sapevano di non potersi schierare contro le truppe dei Clan del Cielo, enormemente superiori di numero e di armamenti. E sapevano pure dell’inutilità di quell’impari scontro. Ma erano quello che erano, meglio morire liberi che vivere da servi. Qualche notizia era trapelata ed anche dei giovani si erano presentati all’appello, curiosi di vedere chi fossero quei pazzi guerrieri.

Ora avvenne che nel passaparola clandestino la voce fosse arrivata anche alle bande minori e così si erano presentati anche Aero e Seli, una coppia di giovanissimi amanti. Ingenui ed appassionati, praticavano insieme l’arte della spada e quella di inseguire i sogni. Quando i guerrieri li videro, era ormai tardi e troppo pericoloso per rimandarli indietro. Guardandoli negli occhi, brillanti di speranza ed eccitazione, non ebbero nemmeno il cuore di offendere la passione che alimentava i loro sogni di gloria e giorni migliori. Decisero così di affidargli compiti minori che sarebbero loro serviti per fare esperienza, tenendoli lontani dai pericoli.

Così ora si avvicinavano alla meta, la fortezza dei Signori dei Clan del Cielo. Per giorni si erano spostati avendo cura di essere sempre al coperto. Quando il terreno era troppo aperto avanzavano di notte. Nei momenti di riposo riparavano armi ed armature e si allenavano. Nei racconti intorno ai fuochi erano ancora giovani e forti, ma la realtà era che molti di loro avevano visto troppi inverni ed i lunghi anni di riposo avevano lasciato segni visibili.

I primi giorni di marcia erano stati duri, vesciche e fiato corto, ma utili per recuperare un po’ di forma. Uro Mani di Martello, possente e sovrappeso, si lamentava come un bufalo, scatenando l’ilarità degli altri. Lo sapeva e si offriva per mantenere alto il morale, in quel corpo enorme batteva un grande cuore. Quelli che avevano continuato con la pratica delle arti marziali, si offrirono per allenare gli altri. Così Lucho la Lama e Samir Lunga Lancia erano spesso impegnati in combattimenti simulati con i vecchi compagni e nell’insegnare la tecnica ai giovani. Quelli più attenti erano Aero e Seli.

 

Entrati da poco nella pubertà rubavano con occhi brillanti ogni azione, ogni movimento, ogni parola dei grandi guerrieri. Erano agilità e passione instancabile, sempre pronti ad aiutare ed imparare. La loro favorita era Dorhe la Serpe, veloce di coltello e di battuta, la donna aveva preso a benvolere la piccola Seli che sembrava portata per l’arte della lama corta. Spesso si esercitavano con i coltelli da lancio e la giovane risultò subito avere colpo d’occhio e precisione. Per Aero aveva scelto la croce di guerra, una pesante croce a quattro punte che richiedeva più forza per il lancio, ma se arrivava a segno si piantava sempre nel bersaglio. Quel tipo di arma era anche un buon allenamento per rafforzare la muscolatura. Alla fine degli allenamenti i giovani si ritrovavano felici e doloranti. Seli massaggiava con unguenti alla canfora le spalle e le braccia di Aero, che con amore e pazienza si dedicava a sciogliere le contratture ai polsi della compagna, poi passava a massaggiarle delicatamente le dita intorpidite una ad una con arnica, calendula ed amore.

Quello però che guardavano con timore e reverenza era Eron Due Lame, un guerriero torvo e taciturno, che si allenava da solo nella sua antica arte. I due ne erano affascinati a tal punto da arrivare a spiarlo di nascosto. Lui sapeva e taceva. Subito prima dell’alba e del tramonto si allontanava dal gruppo e trovata una radura illuminata dagli astri, iniziava la sua danza. Prima con calma… respirazione, estrazione delle due spade, una corta ed una lunga, le guardie ed i passi. Simulava attacco e difesa contro uno e poi contro più nemici. Improvvisamente, davanti agli occhi increduli dei ragazzi, accelerava ad una velocità tale che delle lame rimaneva solo il sibilo. Poi ripeteva ogni movimento con estrema lentezza e precisione, muscoli tesi e mente concentrata. I due guardavano ed apprendevano, lui sorrideva dentro di se.

 

Arrivarono così alla meta. Le armature di cuoio bollito e ferro erano state riparate, le lame affilate. Quella sera ci furono solo parole sommesse e raccomandazioni all’ombra degli alberi della grande foresta. Poco oltre giaceva la piana con al centro la collina su cui sorgeva il castello nemico. Ogniuno con il suo stato d’animo, ogniuno solo con se stesso ed i propri pensieri, si coricarono in attesa del giorno dopo.

 

 

Seli ed Aero abbracciati e frementi di eccitazione non riuscivano a dormire, durante lo scontro avrebbero avuto il compito di rimanere a guardia del campo e vigilare sulla via di ritirata dei compagni. In caso tutto fosse andato male, dovevano fuggire e portare la notizia alle bande di guerra dei giovani rimasti nei villaggi o nascosti sui monti. Questi erano gli ordini impartiti loro dai guerrieri che volevano salvaguardare quelle giovani vite.

 

Giunse un aurora pallida ed ovattata. I guerrieri si mossero in silenzio. Arrivarono al limitare degli alberi e si affacciarono sulla piana. Tra la nebbia un esercito era schierato davanti a loro.

Il comandante nemico sedeva su uno scanno posizionato su un ampio ripiano, che interrompeva la larga scalinata che portava al castello, circondato da ufficiali minori, porta insegne e servi.

Un sorriso di soddisfazione gli attraversava il viso. Sapevano i Signori del Clan del Cielo, l’inganno ed il tradimento erano la loro arte. C’è sempre uno pronto a tradire, non importa perché nè come, basta annusare l’odore delle sue debolezze e poterne pagare il prezzo.

Seppero i guerrieri e non si voltarono per vedere chi li aveva abbandonati durante la notte. Troppo il dolore e troppa la loro dignità.

Ora erano là….meno di cento contro un nemico in netta superiorità numerica. Forse avrebbero ancora potuto ritirarsi, ma non erano lì per quello. Non per la vittoria né per la morte. Erano lì per una idea…un sogno..che non può essere ucciso, ma solo alimentato.

Sapevano i vecchi guerrieri, capirono i giovani…e caricarono.

Le schiere nemiche avanzarono certe di una facile vittoria. Amaro fu il prezzo che pagarono. I guerrieri si fecero strada armi in pugno, mietendo vittime ad ogni passo. Avanzavano e cadevano..ad uno ad uno, ma continuavano ad avanzare verso il comandante nemico e la fortezza dietro di lui.

 

Dalle mura del castello gli altri Signori guardavano la scena circondati da servi e cortigiani. Un giovane apprendista bardo era tra loro, gli occhi spalancati su tanto coraggio e tanto orrore, il cuore pieno di pietà. Ma man che i nemici cadevano, ascoltava i commenti del traditore e trascriveva i nomi.

Sembra ormai giunta la fine quando, dalle ombre della foresta, escono due giovani, le ali ai piedi, le armi che saettano. Gridano incoraggiamenti ai pochi compagni stremati e si avvicinano sempre più alla scalinata dove giacciono nemici ed amici. Arrivano agli ultimi gradini, che portano alla piattaforma, proprio mentre il possente Uro Mani di Martello piega le ginocchia colpito per l’ennesima ed l’ultima volta.

 

 

Davanti a loro c’è solo una fila di Guardie di Ferro che li separa dal comandante nemico. Si guardano negli occhi e si lanciano avanti. Le spade si abbattono su di loro. Volano i coltelli di Seli, colpisce la spada di Aero. Si apre il varco. Ed ai piedi del nemico cade Aero ferito ma non domo.

Si volge Seli a scudo alle spalle del suo amore fronteggiando i nemici. Mentre la mano di Aero scatta nell’ultimo affondo verso il petto del comandante impietrito, una nuvola di frecce, scagliata dagli spalti del castello, si abbatte su di loro.

“Chi erano quelli?”. Chiede qualcuno su al castello.

“Due fanatici ragazzini,…mi sembra Aero e Seli fossero i loro nomi”. Risponde il traditore.

Il giovane bardo guarda i giovani amanti ricoperti di frecce con le lacrime agli occhi.

Scende la sera ed un ombra si allontana dai festeggiamenti del castello. Il giovane bardo indossa vestiti poveri e porta sulle spalle un vecchio liuto, raggiunge il più vicino villaggio ed entra in una taverna. Lo accoglie il fumo del focolare ed il vociare dei presenti. Il luogo è affollato, sono giunte delle voci. Si siede in un posto in penombra, ordina un bicchiere di sidro ed ascolta.

“Dei banditi hanno assalito il castello Nero”.

“Neanche si sono avvicinati, me lo ha detto una guardia che conosco”.

“Briganti”.

“Ribelli”.

“Pazzi”.

Si sistema lo strumento e pizzica le corde. Scende il silenzio.

“Cosa ci canti bardo?”. Chiede una voce.

“La ballata di Seli ed Aero”.

 

Tra le nebbie dell’alba una schiera s’avanza.

Non sono in tanti ma di grande valenza

Grige le barbe di quei guerrieri

che affrontan la morte con occhi fieri

Ride sicuro l’oscuro signore

pronto allo scontro per voce di traditore

Pochi compagni ma forti nel cuore

contro il nemico mille volte superiore

Sotto l’impatto cedon le schiere

armate a difesa del turpe potere

Samir Lunga Lancia precede gli amici

cade sepolto da infiniti nemici

Lucho la Lama si accascia trafitto

lì dove il nemico era più fitto.

Gor Grande Ascia vicino a lui giace

dopo aver seminato strage feroce

Fa tremar le guardie fino ai capelli

Dorhe la Serpe coi suoi lunghi coltelli

vicino a lei Eron Due Lame

falcia sicuro il nemico infame.

Cadon trafitti i due grandi eroi

tra corpi nemici che contar non puoi

ogni infamia risuona ad oltraggio

di fronte a tanto estremo coraggio

Si serran le file sotto al castello

per fermare Uro Man di Martello

li sulle scale infine lui cade

trafitto il corpo da mille spade

Ma ecco dal bosco volan leggeri

i due giovani amanti Aero e Seli

attraversano il campo son sulle scale

gli occhi splendenti di fronte al male

Cedon le guardie che fanno da muro

al loro tremante signore oscuro

Son ricoperti di cento ferite

ma è con i dardi che gli prendon le vite

Seli qual scudo sull’amore si erge

Aero morendo il nemico trafigge

più degli amanti non battono i cuori

su loro le frecce son come fiori.

Di altre parole non c’è più bisogno

son morti gli eroi per donarci un sogno.

 

La gente nella taverna ancora tace mentre il bardo esce nella notte.

 

I corpi dei guerrieri verranno esposti nella pubblica piazza come monito, ma quando qualcuno chiede. “Ma chi sono quei due, sembrano bambini?”. Altri risponderanno. “Aero e Seli”. Ormai la loro ballata ha fatto il giro del paese.

 

Epilogo.

E’ una bella mattina ed il sole risplende alto nel cielo. Una bambina guarda stupita la folla che attraversa il villaggio in direzione del castello dei Clan del Cielo.

“Mamma…mamma dove va tutta questa gente con bandiere e rose rosse?”

“Vanno a portare i fiori a Seli ed Aero”.

“Andiamo anche noi?”

“Si figlia mia, ma copriti il capo, sarà una giornata…..molto calda”.

 

 

Una Sera Come Tante

I giorni si trascinano uno dietro l’altro. Chi può si alza tardi, chi lavora è sempre in arretrato di sonno. Ci si vede tutti il pomeriggio, a casa mia o a casa del batterista, tanto c’è sempre qualcuno che apre la porta e quando arrivo lo stereo è a palla e devo fare lo slalom tra abbracci di saluto e gente stravaccata sulla moquette piena di cuscini. Mi cambio lì, davanti a tutti che nessuno ci fa caso e se c’è gente nuova si abitua subito… e che cazzo è la mia stanza no? Se gli piace il resto potranno pure vedere il mio uccello.

E poi giù a chiacchierare e fumare e bere birra che sono passate le sei… prima di quell’ora non bevo mai… almeno quando devo lavorare.

Si parla di musica. I più vecchi di politica. Ai più giovani non gliene fotte niente. Sono gli anni post 77… chi c’era è incazzato ed amareggiato, e a chi non c’era hanno già cominciato a fare il lavaggio del cervello e così la maggior sono anarchici nichilisti e basta. E già va bene che altrimenti sarebbero nulla, come tanti di quelli che ci schifano quando ci incontrano mentre noi proviamo pena per loro che hanno venduto il cervello per un Moncler.

Io lavoro, suono, mi drogo, mi ubriaco e faccio tardi la notte. Cazzo… ci sono delle volte che sono così di fuori che per tornare a casa guido in mezzo alla strada, con lo sportello aperto, seguendo la linea di mezzeria.

L’aria gelida dell’ora che precede l’alba mi tiene su quanto basta per arrivare a buttare la macchina nel primo posto libero sotto casa. Poi frano sul letto… domani è sabato e mi posso svegliare quando… sarà.

Questa sera abbiamo deciso di andare al Bar della Pace, uno dei ritrovi dei rockers della Roma di quei tempi. Il posto è pieno, fuori fa freddo e siamo in tanti accalcati dentro. Noi siamo riusciti ad occupare un angolo. Siamo un bel gruppo misto di punk, new wavers e rockabilly. Le donne sono splendide, alcune hanno un look da pin-up anni sessanta che mozza il fiato.

Ogni tanto qualcuno di noi si alza e va a prendere da bere. Io e Sergiej siamo andati a prendere l’ennesima Ceres e due ubriachi si avvicinano per attaccare briga… non siamo interessati, due ringhi e ritorniamo al tavolo. Insomma stiamo lì felici e contenti quando Valterone torna dal bar tutto tranquillo e ci lancia il loden dicendoci di tenerglielo un attimo che torna subito. Ora Valterone non si chiama così a caso… è un pezzo di rockabilly tosto come il granito, ma quel pomeriggio è stato ad un colloquio di lavoro e si è tirato a lucido tanto da sembrare un impiegato modello. Certo sempre con un suo stile, ma è davvero fuori posto in quel locale.

Fatto sta che esce deciso, spalle rigide, dietro ai due ubriachi in cerca di grane. Noi sghignazziamo. Le ragazze ci guardano e fanno:

Ma lo lasciate andare solo?”.

Eh, basta e avanza per quei due”. Ribattiamo noi che sappiamo che il nostro ha dei pugni che sono di pietra. Ma, un po’ per ridere, un po’ per l’insistenza delle belle che non vogliono casini o forse li vogliono come si deve, usciamo tutti quanti. Fuori si è già radunato il pubblico per guardasi la scena dell’impiegato contro i due coatti.

I tipi non si sono resi conto che la loro vittima non è sola o forse non si sono posti il problema. Fatto sta che uno incalza il nostro amico, mentre l’altro gli si avvicina da figlio di puttana alle spalle. L’intervento è immediato. Uno dei gemelli milanesi si piazza tra Valterone ed il suicida che lo sta affrontando tentando di fare da pacere.

Io che sono bastardo ed ho gli anfibi, seguo alle spalle il secondo infame.

Non sopporto i vigliacchi, così sono pronto… se solo tenta di muoversi lo divido in due. Questo è uno di quei momenti in cui la mia natura di lupo esce fuori. Mi muovo silenzioso e con i muscoli contratti, qualcosa si accende dentro… voglio solo abbattere l’avversario. Non so cosa succede realmente, ma gli altri lo sanno e come. Io vedo sempre la stessa reazione di assoluta, totale paura.

Normalmente sono uno socievole, gentile… con riserva, ma davanti a certe situazioni arriva il lato oscuro del lupo. Il tipo lo sente… si gira e… sbianca in viso, sa… alza le braccia e fa due passi indietro.

Non faccio niente… lo giuro non faccio niente”. Comincia a piagnucolare.

Al muro… mettiti contro il muro e non ti muovere!”. Gli dico in un sussurro basso e ringhiante.

La gente intorno si è immediatamente tirata indietro ed ha liberato la strada verso il muro del palazzo più vicino. Io indico con gli occhi e quello esegue. Si stampa lì e non si muove più. Ubriaco si, ma non stupido.

L’altro è più ubriaco e non si cheta. Continua ad inveire e minacciare Valterone che sta lì impassibile, il gemello in mezzo ai due… braccia distese a tenerli a distanza ed intanto parla e cerca di calmare il tipo.

Le nostre donne sono intorno e dicono la loro.

Dai falla finita… ma non lo vedi quanti siamo?”.

Lui è troppo di fuori ormai e le manda a’ fanculo. Valterone non batte ciglio.

Levate Corrà… mo basta”. E Corrà si leva…

Il tipo si lancia in avanti e si prende un unico cazzottone in faccia che lo spara due metri indietro lungo per terra.

Ci tocca pure rianimarlo.

Non siamo cattivi… ne noi, ne loro… siamo solo coatti di Roma. Abbiamo le nostre regole. Lo scontro si è concluso… il lupo va via. Iniziamo tutti a parlare con i due ubriachi, ora molto più sobri.

Scusate abbiamo bevuto troppo”.

Va bene… tutto a posto, è finita bene no?”.

Si si… ammazza che pugno che c’hai”.

Insomma pacche e abbracci. Ci presentiamo e beviamo insieme.

Ahò… fai paura”. Mi dice il tipo.

Difendo gli amici”.

Mò semo amici vero?”.

Si…vabbhè”. Gli do una pacca sulla spalla.

Ci siamo incontrati ancora molte volte e abbiamo sempre bevuto insieme.

Una sola cosa non mi è piaciuta. Uno dei nostri si è tirato indietro. L’ho visto con la coda dell’occhio e non ho mai detto niente a nessuno. Non è sbagliato aver paura o non amare la violenza, ma il coraggio è vincere le proprie paure quando serve e se non ce l’hai in una situazione così tranquilla che succederà se ci troviamo veramente in difficoltà?

Non si abbandonano mai gli amici!”. Gli ho sussurrato passandogli vicino e fissandolo negli occhi… lui li ha abbassati. Non ne abbiamo più parlato, l’ho accettato così, sapendo che in certe situazioni non avrei mai potuto fare affidamento su di lui…

Solo un Tango

La fissò ancora una volta.

Non era la prima volta che la vedeva alla milonga. Era stato colpito dalla languida eleganza del suo tango, che si trasformava in pura sensualità quando si notava il suo sguardo un po’ perso, come ad inseguire i passi di qualcuno che non era là.

Uno sguardo che gli aveva contratto lo stomaco e asciugato la bocca, una qualche sera di qualche tempo prima, quando si era puntato nel suo inaspettatamente curioso.

Aveva cominciato ad attendere quelle serate alla milonga per incrociare ancora quegli occhi, che lo scrutavano sempre più intensamente indagatori. Almeno così amava credere.

Non era stupido, giocava sapendo di inseguire le proprie speranze.

Ma quante fantasie alimentava quel complice gioco di sguardi.

Lei adorava il tango. Si perdeva in quelle battute cadenzate, rinascendo se stessa ad ogni figura che costruiva con fluido abbandono.

Ballava per se.

Si lasciava portare da sconosciuti che apprezzava unicamente in base alla facilità con cui le permettevano di esprimere il suo tango. Si abbandonava alla musica eppur felina attendeva.

Improvvisamente uno sguardo. Prima gentile, quasi timido. Poi ladro di segreti, che sembrava guardarle dentro e comprendere il suo ballo.

Così era cominciato quel duello di sguardi, dialogo senza parole, caccia nella quale non era importante chi fosse preda e chi cacciatore. Fucina di sogni intessuti da violini incalzanti e bassi secchi a colpire il diaframma.


Ineluttabilmente una sera i passi di lui avevano colmato lo spazio tra immaginario e realtà, ritmati da un accelerare di battiti cardiaci.

“Mi concede questo tango?” Voce profonda…forse leggermente emozionata? Lei si alza senza staccare gli occhi da quelli di lui. Un attimo e si ritrova avvolta dalla musica e dal suo abbraccio. Una mano dal tocco gentile appena sotto la scapola, l’altra a ricevere la sua. Lei si appoggia delicatamente al petto ed alla spalla.

Un cambio di peso e la ferma spinta in avanti dell’uomo. Pochi passi..un alt..un elegante salida esterna, passo stop al due. Ancora basica in quattro.

Lei si abbandona, lui prende coraggio……mordida con voleo.

Sono persi. I passi e le figure nascono dal profumo dei capelli di lei che lui annusa poggiandole la guancia sul capo. La mano di lei scivola sulle spalle il viso affondato dell’incavo del collo del suo cavaliere. Un ballo sempre più intimo. Mano che stringe mano.

 

La gamba di lei avvolge quella di lui predatrice. Lui è perno, salda presenza all’esplosione della sensualità femminile. Si eccita, la invade con una sacada. Cerca il contatto delle gambe….lei accetta per un istante. Seguono le regole della passione.

Così si balla il tango.

Pochi minuti si trasformano in una eternità di contatti proibiti agli altri, inviti ed allusioni. Lui la reclama, pretende. Lei si abbandona, lo ammalia, lo prende. Si toccano appena…si possiedono.

La musica sfuma nell’abbraccio che non si vuole sciogliere, negli occhi febbrili che non si vogliono lasciare.

“Vorrei…ancora”.

“Si…..”

“Grazie”

“A te”.

Parole improvvisamente goffe, imbarazzate.

Lui si violenta, si volta si allontana di qualche passo…si gira un’ultima volta per cogliere uno sguardo pieno di promesse…tradite.

“Perchè? Cosa…..? Non così!”. Esplode, nel silenzio delle labbra, la mente di lei.

“Non posso…..vorrei ma non posso….”. Vorrebbe dirle lui. “Lo devo all’altra….lo devo a te. Non voglio ferire nessuna…pugnalo solo il mio cuore”.

Con gli occhi lancia un ultimo messaggio disperato.

“Ti prego cerca di capire…..lasciami questo briciolo di onore… perché sia un uomo”.