Tangerine Dream

L’elettronica è pura sperimentazione, è la possibilità di esprimere direttamente una sensazione attraverso dei suoni. La musica tradizionale si muove sul ritmo del battito cardiaco, l’elettronica è il respiro. Io almeno la vivo così e così la suonavo. Non ve lo avevo detto? Poco male. Con il gruppo suonavo punk, ma da solo viaggiavo con la mente nel cosmo. Zeit, il tempo….la follia del genio tedesco nel quale mi ero perso inseguendo l’immaginario. Suoni come colori stesi su un dipinto che va oltre le tre dimensioni.

Potete immaginare come stavo quel pomeriggio mentre andavo al concerto dei Tangerine Dream insieme ai miei amici, ma non potete immaginare come era Cindy.

Me l’aveva presentata pochi giorni prima Safia, la ragazza di uno dei gemelli in una uscita al buio.

Come è la tua amica?”.

Jaws”. Mi aveva risposto ridendo. Si erano entrambe mezze americane. Safia arabo-americana e Cindy franco_americana, studiavano tutte e due in una scuola madrelingua a Roma.

Uno squalo?”. Avevo fatto io perplesso pensando al film di Spielberg.

Vedrai, vedrai…”. E rideva ancora di più.

Senza tante storie le mandibole sono cadute a me, quando mi sono trovato davanti un pezzo di americana a cui non mancava proprio nulla, anzi ce n’era d’avanzo.

Alta, con lunghi capelli castani, due metri di gambe e un culo spettacolare.

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Ha gli occhi persi nei sogni e parla, parla, parla veloce ed io non capisco un cazzo. Poi mi fissa con malizia e so tutto. Ha già posato per Vogue, mi dice, ed io ci credo e come se ci credo.

Insomma sto andando a vedere i Tangerine con una donna bellissima che mi sta incollata addosso, non posso chiedere di più…non è vero…passatemi la canna.

Il Palasport è quasi pieno. In quel periodo la gente ha fame di musica e si fionda a qualsiasi concerto, così tanti sono lì senza neanche sapere chi sono andati a sentire. Rubo i commenti della gente.

Ma chi so questi?”

Bhoo…so tedeschi”.

Ma che musica fanno?”.

Fra poco lo sentite che fanno, penso tra me, e già mi immagino le facce.

Il Palco è scarno. Dietro le cataste degli amplificatori c’è un immenso telo argentato, davanti pile di computers. Noi ci sistemiamo per terra proprio al centro del palazzetto e cominciamo a chiacchierare e rollare.

Cindy mi parla in americano, io capisco la metà di quello che dice, ma fisso quelle labbra come se volessi rubare direttamente da lì il senso delle parole….le sorrido, in realtà la vorrei solo baciare. Lei lo sa, mi guarda con il suo sguardo malizioso, sorride a sua volta e continua a raccontarmi della scuola, dei suoi divorziati e di suo padre che vive a Parigi. Vuole scappare ed andare da lui.

Quando?” Le chiedo.

Domani”. Risponde lei. “Oggi voglio vedere il concerto”. E scoppia a ridere.

Io la bacio e lei ci sta.

Si spengono le luci….il concerto inizia. I tedeschi entrano, precisi da ingegneri e parte una nota profonda, rimane sospesa nell’aria e poi pian piano arrivano le altre, si sovrappongono e partono i sequencers. Fasci di luci colorate si puntano sul telo argentato e cominciano a danzare. È un tessuto che reagisce e si muove con la musica. I colori si mischiano in un incredibile effetto psichedelico e noi veniamo travolti da un muro di suono. La portante che attacca il diaframma mentre tutte le altre note rimbalzano impazzite nel cervello e noi ci perdiamo mentre fumiamo tutta la valle di Ketama.

La musica mi riempie le orecchie, Cindy i miei sensi. Cominciamo ad esplorarci seguendo il suono. Le bacio il volto pian piano e lei vibra. Poi tocca a lei. Mi lecca il collo…morde. Le mani sono ovunque.

Dimentichiamo tutto e tutti, ci siamo solo noi e la musica. L’elettronica ha un effetto devastante sulle percezioni, tutto è amplificato o forse è solo il desiderio, ma che importa…..non vi so dire neanche che pezzi hanno suonato i Tangerine. So solo che il tempo era sospeso, esistevamo solo noi adesso.

Ad un certo punto siamo come impazziti. Vogliamo di più, ma siamo in mezzo a migliaia di persone, non che ce ne freghi molto, ma…lei ha una tuta intera e non se ne viene a capo in un modo minimamente decente. La mie mani percorrono tutte le strade del cosmo finchè il suo cavallo è fradicio.

Tutti si alzano in piedi e noi con loro.

Lei mi guarda con gli occhi stravolti.

Tu non sei venuto”. Mi sussurra all’orecchio. Si gira e mi si poggia addosso. Poi inizia lentamente a danzare muovendosi a tempo con la musica dei Tangerine Dream. Alza le braccia al cielo, con le mani disegna arabeschi mentre balla e si strofina. Io le prendo i fianchi e ballo con lei.

La musica finisce ed io pure.

Il pubblico esplode in un applauso con fischi e grida. Chi ama i Tangerine Dream applaude loro…..gli altri, sulle gradinate, fischiano, ridono ed applaudono noi.

Torniamo con i piedi per terra e ci rendiamo conto che tutti quelli che erano sul campo del palazzetto dello sport si sono accalcati sotto il palco e noi siamo rimasti soli a ballare per il resto del pubblico. Ci guardiamo rossi in viso e sbottiamo a ridere.

Che concerto!

Vento di Bolina

 

La musica usciva dal boccaporto e la borsa refrigerante piena di birre era al centro del pozzetto. Il vento toscano è sempre dolce nella stagione estiva, si rischia bonaccia e si devono aspettare le sei del pomeriggio per ritrovare qualche refolo, ma quella mattina il 32 piedi solcava l’acqua spinto da una brezza che sembrava spirare direttamente dai polmoni dei quattro amici.

Si conoscevano da una vita. In fuga, lasciata la comitiva, niente donne. Solo loro, birra, musica, sole e mare.

Manfredi penzolava le gambe fuori dalla murata, le braccia abbandonate sulla battagliola, una birra in mano. Hank Trunk manco a dirlo, svaccato nel pozzetto, la borsa refrigerante a portata di mano. Prezzola, predicava bene e razzolava male. Marietto al timone, era astemio, ma si ubriacava come gli altri.

Rotta isola d’Elba, che Marietto aveva una sorta di appuntamento nautico con delle amiche in rada a Porto Azzurro. E così le miglia scorrevano lisce tra bevute e ricordi di tutte le cazzate che avevano fatto insieme.

Il mare crea una particolare intimità, fa bene all’amicizia, vele gonfie, niente puzza ne rumori. Solo il vento, lo sciabordio dell’acqua e le loro cazzate. Insomma…totale relax.

Il pomeriggio entrano in rada, tender in acqua e recupero delle amiche a terra. Sono cinque, carine e simpatiche che solo Marietto sa dove le trova. Per la serata con le tipe hanno organizzato una cena in barca che Manfredi e Marietto cucinano da dei. Gli altri due mangiano da orchi e tutti bevono da maiali. Le tipe hanno portato il gelato e i biglietti d’invito in una discoteca, ma c’è ancora tempo e dopo cena Manfredi tira fuori la chitarra mentre Hank Trunk passa da una all’altra cercando di capire come svolta la serata.

 


La notte è appena iniziata e tutti sono già belli alticci. Una delle tipe mette su musica tecno e si mettono a ballare dove capita.

Manfredi è appena fuori dalla luce del pozzetto e guarda la scena, improvvisamente prende la macchina fotografica e spara:

“Ok, mi serve una modella”.

“Eccola!”. Cinguetta una bionda, abbronzata che sembra verniciata a coppale, con i tatuaggi che escono da ogni angolo del poco di stoffa bianca che ha addosso.

A prua la luce non arriva, è notte fonda, Manfredi assicura i polsi della bionda alle scotte del fiocco arrotolato allo strallo. Braccia in alto sopra la testa la tipa si abbandona ed inizia a ballare occhi chiusi.

 


Le sequenze di scatti si susseguono veloci. Il flash della macchina fotografica è luce stroboscopica.

Lei è puro sesso……lui la possiede attraverso l’obiettivo, stampata bianco e nero verrà fuori una sequenza fotografica di incredibile sensualità.

Lui le si avvicina per scioglierle i polsi, lei gli si abbandona contro e gli sussurra nell’orecchio:

“Ora si va in disco”.

Il gioco è così e lei gioca bene.

La discoteca è sulle montagne dell’isola e le tipe rimediano un passaggio per tutti con l’aiuto di altri amici del posto.

 


Solita storia, tecno a palla, luci che sparano e drink che vanno giù uno via l’altro, tanto sono entrati gratis e i soldi vanno tutti in alcool. La bionda conosce il disc jokey, che deve essere un gran figo perchè lei ed una mora litigano, si insultano, ma la bionda la spunta e dopo un po sparisce e se lo porta nel cesso. Manfredi incassa e si fa un altro drink, non va sempre bene ma non gliene frega poi molto, è lì con gli amici e questa è la sostanza di quel viaggio.

 

 

E qui li colpisce la sfiga. Mentre ballano con impegno una nocca di Manfredi sfiora i denti di Hunk Tunk e quello rimane con mezzo incisivo in mano. Smoccola in aramaico mentre Manfredi guarda perplesso la finestra in bocca all’amico. Radunano gli altri due amici per tornare alla barca, ma una delle macchine con cui sono arrivati è della mora che, incazzata per non essersi fatta il disc jockey, è saltata su ed è tornata indietro. La bionda aspetta il disc jockey e delle altre non c’è traccia. Così degli sconosciuti li portano fino a Porto Ferraio e li mollano lì.

Sono le quattro di mattina, i nostri amici sono fatti fradici, stanchi ed infreddoliti. Marietto, l’astemio, si è ubriacato ed ha un mal di testa della madonna. Hank Trunk ha mezzo dente in bocca e mezzo in mano che sembra un personaggio di Samuel Delany, Manfredi lo guarda costernato e ancora non capisce come cazzo gli ha potuto rompere un dente sfiorandolo. Prezzola, un po più lucido degli altri, guarda l’orario dei bus per Porto Azzurro. C’è da aspettare la mattina.

Si accomodano come possono sulle panchine e provano a dormire. All’alba sono sfatti, indolenziti ed incazzati, i nervi a fior di pelle. Parlano poco mentre sorseggiano cappuccino caldo per scaldarsi. Il viaggio in corriera è silenzioso. Il tender è in acqua, ormeggiato ad una boa, e la marea è salita. I moccoli si sprecano ma riescono ad arrivare alla barca.

Si salpa.

Manfredi si mette al timone. Pian piano comincia a sentire l’acqua attraverso il legno che vibra sotto i piedi, le mani che colgono il vento sul timone, riacquista il senso del mare. Poggia. La barca sbanda dolcemente. Il sole gli scalda il viso ed il corpo stanco scompare, mentre da un punto poco sopra l’ombelico viene preso e trascinato dal vento di bolina.


Sorride…..rotta verso casa.

 

Una Sera Come Tante

I giorni si trascinano uno dietro l’altro. Chi può si alza tardi, chi lavora è sempre in arretrato di sonno. Ci si vede tutti il pomeriggio, a casa mia o a casa del batterista, tanto c’è sempre qualcuno che apre la porta e quando arrivo lo stereo è a palla e devo fare lo slalom tra abbracci di saluto e gente stravaccata sulla moquette piena di cuscini. Mi cambio lì, davanti a tutti che nessuno ci fa caso e se c’è gente nuova si abitua subito… e che cazzo è la mia stanza no? Se gli piace il resto potranno pure vedere il mio uccello.

E poi giù a chiacchierare e fumare e bere birra che sono passate le sei… prima di quell’ora non bevo mai… almeno quando devo lavorare.

Si parla di musica. I più vecchi di politica. Ai più giovani non gliene fotte niente. Sono gli anni post 77… chi c’era è incazzato ed amareggiato, e a chi non c’era hanno già cominciato a fare il lavaggio del cervello e così la maggior sono anarchici nichilisti e basta. E già va bene che altrimenti sarebbero nulla, come tanti di quelli che ci schifano quando ci incontrano mentre noi proviamo pena per loro che hanno venduto il cervello per un Moncler.

Io lavoro, suono, mi drogo, mi ubriaco e faccio tardi la notte. Cazzo… ci sono delle volte che sono così di fuori che per tornare a casa guido in mezzo alla strada, con lo sportello aperto, seguendo la linea di mezzeria.

L’aria gelida dell’ora che precede l’alba mi tiene su quanto basta per arrivare a buttare la macchina nel primo posto libero sotto casa. Poi frano sul letto… domani è sabato e mi posso svegliare quando… sarà.

Questa sera abbiamo deciso di andare al Bar della Pace, uno dei ritrovi dei rockers della Roma di quei tempi. Il posto è pieno, fuori fa freddo e siamo in tanti accalcati dentro. Noi siamo riusciti ad occupare un angolo. Siamo un bel gruppo misto di punk, new wavers e rockabilly. Le donne sono splendide, alcune hanno un look da pin-up anni sessanta che mozza il fiato.

Ogni tanto qualcuno di noi si alza e va a prendere da bere. Io e Sergiej siamo andati a prendere l’ennesima Ceres e due ubriachi si avvicinano per attaccare briga… non siamo interessati, due ringhi e ritorniamo al tavolo. Insomma stiamo lì felici e contenti quando Valterone torna dal bar tutto tranquillo e ci lancia il loden dicendoci di tenerglielo un attimo che torna subito. Ora Valterone non si chiama così a caso… è un pezzo di rockabilly tosto come il granito, ma quel pomeriggio è stato ad un colloquio di lavoro e si è tirato a lucido tanto da sembrare un impiegato modello. Certo sempre con un suo stile, ma è davvero fuori posto in quel locale.

Fatto sta che esce deciso, spalle rigide, dietro ai due ubriachi in cerca di grane. Noi sghignazziamo. Le ragazze ci guardano e fanno:

Ma lo lasciate andare solo?”.

Eh, basta e avanza per quei due”. Ribattiamo noi che sappiamo che il nostro ha dei pugni che sono di pietra. Ma, un po’ per ridere, un po’ per l’insistenza delle belle che non vogliono casini o forse li vogliono come si deve, usciamo tutti quanti. Fuori si è già radunato il pubblico per guardasi la scena dell’impiegato contro i due coatti.

I tipi non si sono resi conto che la loro vittima non è sola o forse non si sono posti il problema. Fatto sta che uno incalza il nostro amico, mentre l’altro gli si avvicina da figlio di puttana alle spalle. L’intervento è immediato. Uno dei gemelli milanesi si piazza tra Valterone ed il suicida che lo sta affrontando tentando di fare da pacere.

Io che sono bastardo ed ho gli anfibi, seguo alle spalle il secondo infame.

Non sopporto i vigliacchi, così sono pronto… se solo tenta di muoversi lo divido in due. Questo è uno di quei momenti in cui la mia natura di lupo esce fuori. Mi muovo silenzioso e con i muscoli contratti, qualcosa si accende dentro… voglio solo abbattere l’avversario. Non so cosa succede realmente, ma gli altri lo sanno e come. Io vedo sempre la stessa reazione di assoluta, totale paura.

Normalmente sono uno socievole, gentile… con riserva, ma davanti a certe situazioni arriva il lato oscuro del lupo. Il tipo lo sente… si gira e… sbianca in viso, sa… alza le braccia e fa due passi indietro.

Non faccio niente… lo giuro non faccio niente”. Comincia a piagnucolare.

Al muro… mettiti contro il muro e non ti muovere!”. Gli dico in un sussurro basso e ringhiante.

La gente intorno si è immediatamente tirata indietro ed ha liberato la strada verso il muro del palazzo più vicino. Io indico con gli occhi e quello esegue. Si stampa lì e non si muove più. Ubriaco si, ma non stupido.

L’altro è più ubriaco e non si cheta. Continua ad inveire e minacciare Valterone che sta lì impassibile, il gemello in mezzo ai due… braccia distese a tenerli a distanza ed intanto parla e cerca di calmare il tipo.

Le nostre donne sono intorno e dicono la loro.

Dai falla finita… ma non lo vedi quanti siamo?”.

Lui è troppo di fuori ormai e le manda a’ fanculo. Valterone non batte ciglio.

Levate Corrà… mo basta”. E Corrà si leva…

Il tipo si lancia in avanti e si prende un unico cazzottone in faccia che lo spara due metri indietro lungo per terra.

Ci tocca pure rianimarlo.

Non siamo cattivi… ne noi, ne loro… siamo solo coatti di Roma. Abbiamo le nostre regole. Lo scontro si è concluso… il lupo va via. Iniziamo tutti a parlare con i due ubriachi, ora molto più sobri.

Scusate abbiamo bevuto troppo”.

Va bene… tutto a posto, è finita bene no?”.

Si si… ammazza che pugno che c’hai”.

Insomma pacche e abbracci. Ci presentiamo e beviamo insieme.

Ahò… fai paura”. Mi dice il tipo.

Difendo gli amici”.

Mò semo amici vero?”.

Si…vabbhè”. Gli do una pacca sulla spalla.

Ci siamo incontrati ancora molte volte e abbiamo sempre bevuto insieme.

Una sola cosa non mi è piaciuta. Uno dei nostri si è tirato indietro. L’ho visto con la coda dell’occhio e non ho mai detto niente a nessuno. Non è sbagliato aver paura o non amare la violenza, ma il coraggio è vincere le proprie paure quando serve e se non ce l’hai in una situazione così tranquilla che succederà se ci troviamo veramente in difficoltà?

Non si abbandonano mai gli amici!”. Gli ho sussurrato passandogli vicino e fissandolo negli occhi… lui li ha abbassati. Non ne abbiamo più parlato, l’ho accettato così, sapendo che in certe situazioni non avrei mai potuto fare affidamento su di lui…

Salutiamo la Vecchia Casa

La casa di Anton G. era un po nostra. Ci eravamo accampati lì dentro talmente tante volte che ormai mollavamo le scarpe dove capitava e aprivamo il frigo per mangiare. Ci si sedeva a tavola, ci si sdraiava sui letti. Insomma eravamo a casa. Ma ora lui la cambiava.

Era la fine di un’epoca e bisognava fare qualche cosa di adeguato. Un saluto ad anni di storie. Ci voleva una festa, ma non una qualunque, la summa del nostro vivere lì.

La voce si era sparsa come un fulmine tra amici, nemici e semplici conoscenti.

Faceva un bell’effetto vedere quelle stanze nude, era rimasta solo la corrente… e quella bastava.

Impianto luci e voci in salone, il tutto collegato allo stereo. La vasca da bagno piena di ghiaccio e bottiglie, e noi a fare un cazzo in attesa degli amici.

I vicini, in fibrillazione, avevano allertato l’amministratore che si era presentato alla porta già nel pomeriggio raccomandandoci di non dare fastidio.

E’ solo una festa… non come al solito. Certo che non è come tutte le altre… questa è l’ultima!”.

Non sembrava convinto dalle nostre parole, o forse erano i nostri ghigni ad insospettirlo. Ma lui era un uomo tutto d’un pezzo ed avrebbe fatto rispettare il regolamento e non si faceva prendere in giro da dei ragazzi punk, bastardi, sporchi, ubriaconi, drogati… no questo era troppo signore per dircelo, ma ce lo sputava in faccia ad ogni occhiataccia e noi solo a guardarlo rischiavamo di perdere tutta la serietà che il predicozzo richiedeva.

Stia tranquillo… certo abbiamo capito che lei ha detto che alle 22,00 dobbiamo spegnere la musica… e no, non può entrare in casa a controllare… che potrebbe scivolare sui pavimenti appena lucidati”.

E che roba, in fondo siamo in un attico… ci sente solo tutto il quartiere.

19,00. Non è ancora buio che la scena si anima. Macchine arrivano cariche nella piazzetta sotto casa, scaricano viaggiatori e alcolici e ripartono ad occupare tutti i parcheggi della zona.

Ciao… siamo passati per un saluto”.

Abbiamo portato degli amici è un problema?”.

Dove mettiamo le birre?”.

Ti presento… ”.

Conosciuti e no entrano e cominciano a farsi i cazzi propri. La storia è così grossa che ci sono tipe tirate a lucido, neanche fosse un matrimonio, vicino a punk trucidissimi. E rockabilly e frikkettoni che pogano insieme. Insomma nessuno è voluto mancare.

21,00. L’amministratore ha già la bava alla bocca e minaccia l’impossibile, mentre un fiume di persone gli gira intorno per entrare ed uscire da casa.

Caro signore lei sta violando una proprietà privata e non può fare minacce!”. Il tipo si materializza dal nulla. Trench, smoking e papillon. “Sono un avvocato!”. E a noi. “Se serve chiamatemi”. Si gira ed entra nella bolgia.

Intanto il padrone di casa è scomparso da almeno un’ora e nessuno sa dove sta. Mi ricompare a fianco dal nulla.

Anton G. dove cazzo eri finito?”

Guarda che ho portato… ti presento Franci”. E mi mette davanti un gioiellino tutto occhi blu e lunghi capelli lisci biondi che mi sorride soave. “L’ho conosciuta oggi e l’ho invitata alla festa, ma non sapeva come venire, così la sono andata a prendere… non è un tesoro”. E come dargli torto.

Dentro le cose si sono messe bene.

L’impianto spara un’enormità di watt ignoranti di puro rock, il salone è stracolmo di gente che balla, al centro di una stanza hanno acceso un fuoco e ballano danze tribali intorno, da tutte le altre parti… fraternizzano. Insomma si divertono.

Chi si vuole rilassare sta sul balcone che gira intorno alla casa.

Io sto lì che pogo, bevo e fraternizzo alla grande… tanto sono tutte stupende.

22,00. All’ora fatidica, salta la corrente. L’andiamo a riattaccare e troviamo l’amministratore con gli occhi da invasato e le tronchesi in mano che ha tagliato i cavi del contatore. Lo invitiamo con la gentilezza che ci contraddistingue a levarsi dai coglioni, gli suggeriamo con fermezza di non farlo più e rabberciamo i contatti. Tanto l’ENEL li dovrà disfare visto che il contratto è già stato disdetto. Fiat lux… e tra urla esultanti la festa riprende.

Sesso, droga e rock’n roll, innaffiati da fiumi di alcool. Lo so è noioso, sempre la stessa storia, ma noi siamo tradizionalisti e ci piace così…..certo ci vorrebbe qualche cosa per movimentare la situazione.

Ci pensa l’amministratore a farci il regalo.

23,00 (…forse). Arrivano le forze dell’ordine! L’amministratore si presenta alla porta scortato da un ufficiale dell’Arma e qualche rinforzo.

Mi hanno aggredito questi teppisti e sentite che casino… li denuncio tutti… arrestateli”.

L’ufficiale ha la faccia dura. Pretende i nomi e lo sgombero immediato. Noi non molliamo. Sul più bello salta fuori il tipo trench/smoking/papillon, una bottiglia di whiskey che spunta dalla tasca e una fiatata alcolica che ucciderebbe un topo di fogna. Barcolla, si sorregge appoggiando una mano in petto all’ufficiale ed esclama: “Io sono l’avvocato!”.

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Ed io ti arresto”. Risponde quasi imperturbabile l’ufficiale.

Ed io sono avvocato davvero… ”. E tira fuori il tesserino dell’ordine.

Insomma la difesa sostiene che l’amministratore ha commesso abusi vari, violazione di domicilio, interruzione di pubblico servizio tagliando i cavi del contatore, provocato pesantemente gli illustri ospiti e spaccato le palle a tutti più della musica, arrivando al procurato allarme delle forze dell’ordine assolutamente non necessario visto che trattasi di festa privata tra persone di rinomata dignità. E qui spara un rutto alcolico degno di bibblica menzione.

24,00 (…circa?) Sotto casa le volanti si moltiplicano. E la resistenza si organizza. Dal balcone una torma multicolore urla secca e dura.

Via… via… la polizia!”. Pugni chiusi agitati in alto e altro gesto, tipico dell’autonomia.

Ma insomma che è sta storia?”.

La festa di addio alla casa del qui presente signore”. Diciamo noi indicando Anton G..

Un casino, altro che una festa”. Sbava l’amministratore fuori di se.

L’ufficiale valuta la situazione. Lo sgombero potrebbe essere un tantino complicato e creare più casino di quello che c’è già. Che portare via almeno quattrocento forsennati riottosi richiede forze ingenti, lacrimogeni, ambulanze e chissà che altro succede.

E’ la festa d’addio alla casa… quindi l’ultima?” Chiede fissandoci negli occhi.

Ma certo!” Confermiamo noi solennemente.

Bene… abbassate la musica e cercate di fare meno rumore. Capito?”.

Certo che abbiamo capito e… grazie!”. Si allargano i sorrisi.

E lei venga con noi”. Fa l’ufficiale all’amministratore. “Che tagliare i fili di un contatore della corrente è un reato”. E così se lo portano via prima che combini altri casini.

Insomma… tutto è bene quel che finisce bene. E finisce bene, all’alba, come da copione…

08,00. La gente si è abbracciata, ha dichiarato di voler partecipare anche alla prossima festa ed è andata via. Una grossa cassa dell’impianto voci è sparita. Le telefonate per ritrovarla hanno esito negativo…scomparsa, volatilizzata, e si che peserà trenta chili.

Due giorni dopo squilla il telefono.

Pronto?”

Pronto…sono l’avvocato!”.

 :

Ciao avvocato…come và?”

Mi sono appena svegliato…..ho una grossa cassa in camera da letto….sapete mica cosa è successo?”.

Incontri Inaspettati

Erano partiti in due per passare una settimana di vacanza nella casa al mare di Manfredi. Mancavano una quindicina di minuti di macchina quando videro una biondina che faceva l’autostop. Si fermarono per gioco, era molto carina.

Dove vai?”

Vado a……”. La loro meta. “Ho un amico che mi aspetta”

Sali ti portiamo noi”. E quella su in macchina.

Si era fidata di quei due ceffi, senza battere ciglio, ed aveva fatto bene.

Senti un po’”. Si impiccia Manfredi. “Ma da chi vai esattamente? Magari lo conosco”.

Siete di Roma vero?” Fa lei. “Un lo potete conoscere è di Firenze”. Ride di un bel sorriso aperto e solare.

Tu dimmi chi è”.

L’è il Neri”.

Ma cazzo è mio fratello!”

Si si scherza”.

No… dico sul serio… ci conosciamo da più di venti anni. Lui ed il fratello”.

Conosci davvero il Neri?”.

Abita dietro casa mia”.

Lei ride ancora. Non gli crede, ma tranquilla come a una gita con le orsoline si sistema e si accende una sigaretta. I due la guardano come fosse una marziana. Bella, simpatica e matta come un cavallo.

Dopo poco parcheggiano la macchina, prendono i borsoni e si avviano nel labirinto delle casette turistiche a due piani. Manfredi si ferma davanti ad una porta.

Buttiamo dentro le nostre cose e ti accompagniamo”. Detto fatto.

Ancora due giravolte ed una rampa di scale, fino al piano superiore.

Neriii… Neriii… t’ho portato un regalo”.

Ehi Manfredi, anche tu qua”. Sbuca fuori in calzoncini un manico di scopa lungo e biondo.

Tò la Bea”. Guarda tutti e sbotta a ridere sgangheratamente. La tipa guarda la scena e giù a ridere pure lei.

Un ci posso credere… vi conoscete sul serio”.

E abita proprio dietro casa mia… come ti avevo detto. Hai culo sorella, senza allusioni”. Partono le presentazioni ufficiali.

Manfredi, Tonio, Neri, Bea. Dentro casa li aspetta il chitarrista del gruppo del Neri… altro amico, il Ganzo. E sono ancora baci e abbracci.

Insomma lieto fine e tutti contenti a mettersi d’accordo per imbastire una bella cena di festeggiamento. Poi, un altro colpo si scena.

Manfredi c’ho ospite anche un soldato israeliano” Neri è ebreo.”Ha finito la ferma e si sta facendo un giro in Europa. Sta con noi una settimana, prima di partire per l’Inghilterra”. Si apre la porta del bagno ed esce un metro e ottanta di soldato, dopo la misura verrà corretta in 1,77, con arrotolato addosso un asciugamano, un cesto di capelli ricci rossi di hennè, i più incredibili occhi neri che abbiano mai visto e due pere così.

Questa e Gali”. Sogghigna soddisfatto il Neri. Mentre i nostri amici stanno lì imbambolati a fissare la visione della madonna con le loro belle kefiah al collo.

Lei li squadra un attimo, poi si volge al Neri e chiede in inglese tra quanto si cena. Una voce dolcissima, celestiale.

Dio c’è”. Pensa Manfredi. “Cazzo se c’è”. E non riesce a staccare gli occhi da quel soldato.

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I giorni passano bene in compagnia. Birra e canne. Chitarre e canzoni a squarciagola; anche la Bea è una cantante, per qualche tempo è stata pure in un gruppo famoso. È lei che tiene banco il giorno. Stupenda, simpaticissima, bella come il sole.

È pomeriggio, stanno in spiaggia e fanno casino. Vicino a loro stanno due beghine toscane, proprio come quelle delle battute, quelle che vi immaginate pure voi e ridete… sembrano finte. Sono sedute e li guardano di sottecchi, li riguardano e ciarlano sui giovani moderni, drogati e depravati. I nostri non si fanno mancare nulla per dare da chiacchierare alle due. Bottiglie una via l’altra. Rollate e canzonacce. Poi in acqua, veloce scambio di costumi, e fuori… la Bea in boxer e il Ganzo in bikini. Le vecchiacce sbarrano gli occhi e mitragliano indignazione.

Eh, eh… e subito parte il piatto forte. I due scambiati si sdraiano… Bea si avvicina languida montando sopra al Ganzo e parte una pomiciata coi fiocchi.

Le due tipe strabuzzano gli occhi, ma non è ancora abbastanza. Manfredi si gode un attimo la scena, guarda le due donne cercando di non farsi notare, rapido si avvicina e apparecchia un sandwich ( per chi non lo sapesse monta sopra ai due…) Bea ride, sguscia via e i due maschietti continuano il gioco. Per le beghine è troppo. Raccattano tutto e fuggono via facendo scongiuri con facce schifate.

Gli amici stanno morendo. Ululano e si rotolano come lombrichi sulla sabbia.

Un vorrei esse nei panni d’i mariti stasera”. Rantola Neri. E giù altre risate.

Gala guarda languida e sorride divertita. Lei è figlia della notte.

Dopo cena, dopo le storie raccontate, quando le risate si spengono Gala e Manfredi rimangono soli. Parlano. Lei con quella voce che carezza la pelle e quegli occhi vellutati, lui con il suo inglese stentato si impelaga in discorsi troppo complicati. Lei non capisce e ride. È dolce pazienza. Lui ritenta, si capiscono in qualche modo. Politica, modi di vivere, gusti musicali. Si guardano. Lui le carezza l’avambraccio… lei glielo porge girato all’insù. Le piacciono le carezze… giocano. “Chiudi gli occhi. Indovina quando arrivo alla giuntura del gomito”. Lei sorride fa segno di si. Sbaglia sempre. Troppo sensibile quella pelle. Lui muore ma non va mai oltre. Lei lo sa e rimane li per ore a continuare quella discussione intima e sconclusionata.

Come sempre le belle storie hanno una fine, arriva l’ultima sera. Sono stati bene tutti insieme. Ci vuole la festa d’addio. E sarà festa amici miei. Mangiano e bevono. Bevono e rollano. Cantano, ballano, bevono ancora e fanno casino senza ritegno alcuno.

Il giorno dopo gli pioveranno addosso le denunce di tutti i vicini, quella sera però è loro. I carabinieri chiamati non arrivano, sono impegnati altrove. Domani li convocheranno in caserma, ma questa è un’altra storia.

Il vino e la birra scorrono ad ettolitri, hanno la resistenza dell’abitudine e della gioventù, alla mezzanotte sono ubriachi fradici, ma si vogliono finire. Lo stereo spara rock e loro sono sbracati sui divani del terrazzo. Manfredi, un po’ inebetito, tiene un braccio sulle spalle di Bea. Dal divano vicino si sentono vociare Tonio ed il Ganzo, mentre Gala ride.

Questa tetta è mia”. Dice uno.

Non e vero”. Risponde l’altro.

Ma sono dueeee, prenditi la tua”.

Io non la trovo la mia”. Sono di fuori.

Manfredi ridacchia si china sul collo di Bea ed inizia a baciarlo muovendosi verso la nuca. Testata a sorpresa. Solleva lo sguardo, incontra gli occhi di Neri che procedeva dal verso opposto. Sbottano a ridere.

Io mi vò a mettere il pigiamino”. Dice Bea maliziosa, si alza e tira dritto verso la sua stanza. I due amici si guardano un attimo… l’indecisione è fatale. Il Ganzo molla la conta delle tette, che tanto non gli riesce, e la segue. La partita è chiusa. Sospiro e sorriso. I due vanno a caccia di altra birra.

Mentre Neri rovista in giro in cerca dell’apribottiglie fuggitivo, Gala si avvicina a Manfredi e gli chiede:

Mi accompagni al bagno?”.

Certo vieni, appoggiati a me”. E barcollando arrivano a varcare la porta desiderata. I bagno è piccolo, lui entra ed accende la luce. Fa per voltarsi ed uscire ma lei è poggiata alla porta già chiusa. Lo fissa negli occhi e gira la chiave.

Lo scavalca, arriva alla tazza, si cala jeans e mutandine e si siede sempre fissandolo.

Mi tieni la mano?”. Sussurra tendendogliela. Lui trema, affoga in quegli occhi e lei… piscia. Si asciuga, si alza e con calma si risistema. Poi alza la maglietta mostrando i suoi stupendi seni nudi.

Ti piacciono?”. Gli chiede. ”Gli uomini impazziscono per le mie tette”.

Anche io”. Risponde lui carezzandole con mano delicata. Gioca con un capezzolo, lei freme e socchiude la bocca. Lui la trova e muore su quelle labbra carnose. Gala gli prende la mano e lo porta fuori dal bagno.

Tonio è defunto su un divano-letto. Neri sparito nella sua stanza.

Loro escono sulla terrazza tenendosi per mano. Si buttano su una sdraio, lei sopra, lui sotto. La tira a se, la stringe, la bacia. Lei si strofina sesso contro sesso, il fiato mozzo.

Qui è scomodo vieni nella mia stanza”. Si alza e lo trascina.

Tra i fumi dell’alcol l’azione è confusa quanto i ricordi. Lui è passione. Lei gazzella e pantera con la pelle di pesca. L’unica cosa a fuoco nella mente di Manfredi è Gala che sussurra:

Fai tutto quello che vuoi, entra, ma non toccarla… lo può fare solo il mio uomo”. I suoi occhi, illuminati dalla luce della luna, risplendono di stelle nel buio della stanza. Non hanno acceso la luce.


Il giorno dopo, Manfredi accompagna Gala alla stazione. Vorrebbe dire tutto in pochi istanti.

Non partire”.

Mi aspettano, ma prima voglio dirti una cosa. Ricordi quando ci siamo conosciuti?”. Lui annuisce perplesso.

Tenevo sempre un coltello vicino a me… avevate le kefiah, pensavo voleste uccidermi perché sono un’ebrea e voi filo-palestinesi”.

Ma che dici… Neri è ebreo ed è uno dei miei migliori amici… noi siamo addolorati per quello che succede giù da voi. I palestinesi hanno diritto ad uno stato e tutti e due avete diritto alla pace. Quando muoiono i bambini non hanno nazionalità. Non amo la politica che il tuo governo attua contro i palestinesi, ma se qualcuno vi aggredisse perché siete ebrei combatterei per voi”.

Lei lo bacia con dolcezza:

Mi hai parlato per ore con passione, notte dopo notte, di quello in cui credevi. Non ero mai uscita dal mio paese e non avevo mai conosciuto gente come voi. Ho fatto il mio dovere, ho combattuto. Noi viviamo nelle nostre paure, nel nostro dolore, nel nostro odio… troppi torti subiti e fatti. C’è anche un’altra via… difficile ma c’è. Ora lo so”.

Un Giorno a Parigi

 

Tutto inizia con una moneta.

augustoa

 

Proprio così, ed è a causa sua che mi ritrovo a Parigi, in una tiepida giornata di giugno, solo e senza parlare una parola di francese o quasi.

L’estate prima ero al mare e mi ero ritrovato con altri miei amici. Come al solito avevamo ospiti rimediati neanche si sa come. A casa loro una coppia di francesi. Lei bionda e lui di origini magrebine. Da me c’era un esule scozzese in fuga che era convito fossi un punk gallese e mi parlava in gaelico, ma questa è un’altra storia.

Una mattina arrivo in spiaggia, una bella caletta riparata dalla scogliera di un promontorio che si stende dritto a tagliare il mare, ed i miei amici mi mostrano soddisfatti i resti di una barca bruciata ed affondata che hanno trovato la sera prima appena due metri sotto l’acqua proprio di fronte agli scogli. Mentre guardo perplesso quelle tavole bruciacchiate noto un pezzo di legno spugnoso con un perno dello stesso materiale a saldare una giuntura.

Dove avete trovato ‘sta roba?”.

Laggiù…vedi la seconda punta…”. Mi dicono indicando la scogliera.

Questo non è di una barca moderna…è di una nave romana”.

Macchè dici”.

Dico”.

La cala è un porto naturale ed il mare ogni tanto porta a riva qualche cosa di antico, lo sanno tutti.

Dopo un po’ di discussioni siamo sul posto….pinne, mute, maschere e boccagli e giù in acqua. Si c’è un gozzo bruciato, ma sotto c’è altro. Smanaccia e smuovi la sabbia, spunta fuori un pezzo di ponte di un’imbarcazione ben diversa. Seguiamo come possiamo il corpo della nave. È piccola e a prua troviamo dei rimasugli del carico. Qualche anfora sfondata e cocci vari. Si è proprio romana! È andata a schiantarsi contro la scogliera mentre cercava riparo da una tempesta duemila anni prima.

L’eccitazione sale alle stelle. Da bravi archeologi improvvisati rischiamo la sincope per tirare fuori qualcosa.

È il francese che esce dall’acqua urlando eccitato, incastrata tra il paiolato ha trovato una moneta. È d’oro ed è perfetta…come fosse stata coniata il giorno prima. Tiriamo avanti fino a sera, ma non troviamo altro….la moneta spetta a chi l’ha trovata, l’avventura l’abbiamo avuta.

Le monete romane normalmente non valgono molto….ma quello è un aureo d’oro di Cesare Ottaviano Augusto in perfette condizioni e vale davvero…lo so.

La terrò come un portafortuna in ricordo di questa estate con voi”. Ci dice commosso.

Per i perbenisti……abbiamo avvisato le autorità e non ci hanno creduto….pensavano ad uno scherzo. Le ricerche nella zona le verranno a fare solo molti anni dopo e solo perché un amico archeologo ci ha dato retta. La faccenda si chiude qui.

I francesi dopo un certo tempo ripartono, ma ci lasciamo con una promessa……li saremmo andati a trovare a Parigi.

 

E così io adesso sono qui, dopo uno scambio di lettere lungo un anno ed un telegramma.

Arrivo domani!”. Cioè oggi…un sabato di giugno ed alla stazione non c’è nessuno ad aspettarmi.

Poco male”. Penso. “Avranno avuto un contrattempo”. Aspetto un po’ poi prendo la decisione….ho l’indirizzo…li trovo io.

Prima di tutto mi servono dei franchi e via dritto ad un baracchino di cambi in mezzo alla Gare de Lyon. Mi metto in fila e attendo…attendo….

La fila è ferma da un pezzo e quello davanti a tutti mi sembra un italiano….prendo la decisione e mi avvicino.

Sei italiano?”

No svizzero”

Ah bene così mi capisci e capisci loro….perché la fila è bloccata?”.

Non lo so”. Fa quello con aria perplessa. “Non mi vuole cambiare i soldi”. Dice indicando l’omino dietro al banco.

E li ho capito di avere gli astri contro.

Posso provare io?” Chiedo sorridente.

Fai pure…se ci riesci”.

Benissimo”…tiro fuori un po’ di banconote e le spingo verso il cassiere.

Quello mi guarda e parla in gallico indicando un cartello. Serve ancora lo svizzero.

Che ha detto il tipo?”.

Che la tassa fissa di cambio sono 5 franchi”.

Tutto qua?”.

Proprio così”.

Sfodero il mio miglior sorriso in francese, faccio segno di si con la testa e riavvicino le banconote. Quello le rimanda indietro, mi guarda storto e ripete la litania indicando il cartello.

Sono calmo…prendo il cartello in mano e fingo di leggerlo con attenzione…faccio segno di si con la testa e rispingo avanti le banconote.

L’omino si incazza e comincia a sbraitare indicando il cartello e le rispedisce al mittente…..la fila è sempre ferma e c’è un problema!

Tu capisci che vuole?”. Chiedo allo svizzero. Quello fa cenno di no.

Faccio un respiro profondo, mi levo gli occhiali neri, spingo avanti il danaro fissando il tipo fumantino negli occhi e pronuncio in perfetto romanesco:

Si nu me cambi subito sti cazzo de sordi te faccio un bucio de culo grosso così!”. E mi aiuto nella traduzione con le mani.

Quello mi guarda negli occhi, guarda borchie e bulloni che ho addosso e capisce il mio francese. Prendo i franchi e vado via…la fila rimane li.

Questa è fatta…ora mi serve l’ufficio del turismo, così mi faccio dare un po’ di indicazioni. “Ti pare che in una stazione internazionale, in Francia, non parlano italiano?”. Mi dico…e per l’appunto l’impiegato scuote la testa.

English?”. Butto là.

Una volta..tanti anni fa a scuola”. Risponde quello.

E che lingue parla buon uomo che lavora all’Ufficio Informazioni per turisti stranieri nella stazione internazionale di Parigi?”.

Ma il francese, naturalmente, caro signore…”.

Ora badate bene io il francese non lo parlo, ma lo capisco a sufficienza….e dopo un po’ riesco a mettere su una discussione con quattro parole e molti gesti. È un dono che ho…dovunque vado pian piano riesco a capirmi con gli indigeni locali. Totò sarebbe fiero di me.

Il simpatico signore, sorridendo, mi spiega tutto. Le cose stanno pressappoco così: i miei amici abitano in una periferia fuori Parigi ed arrivarci in taxi è impensabile, a meno che non sia facoltoso. No.. una stanza d’albergo libera proprio non la posso trovare, è sabato e c’è non so che cavolo di expò e naturalmente non è rimasta neanche una stamberga. Si…posso avere una cartina di Parigi, con tanto di linee del metrò, con su la mia destinazione segnata con una croce e la metropolitana è fuori dalla stazione, ma li dovrò farmi aiutare da qualcun altro. Buona giornata e auguri.

Mi incammino…smoccolando in aramaico, magari mi capiscono pure, ma nessuno lo da a vedere.

La prima cosa che noto è che i francesi vestono proprio male, sembrano gli abitanti di un paesino di campagna dalle nostre parti, ed io che pensavo che fosse la patria dell’alta moda. Poi mi compare davanti una con un abito bianco attillatissimo, bottoni neri, cappello a falde larghissime e tacchi da equilibrista.

Ma dove cazzo va questa conciata così alle nove di mattina?”. Ed il giudizio di un punk in fatto di moda è insindacabile.

Entro nelle viscere della metropolitana e smoccolo ancora peggio. A Roma c’è poco da sbagliare….le linee sono solo due…..qui è il delirio di una colonia di talpe, hanno traforato il sottosuolo di Parigi in ogni possibile direzione e su più livelli…e ora che faccio?

Cartina alla mano tento l’approccio con tutti quelli che mi capitano sotto tiro. Nessuno mi caga…..finché non becco un gruppo di operai rumeni che tra gesti e due parole di italiano mi caricano su una metro e mi declamano per tutto il viaggio Dante. Si avete capito bene…quelli capivano un po’ di italiano perché conoscevano la Divina Commedia a memoria. Scendiamo e risaliamo su linee diverse fino a quando ci siamo dovuti lasciare tra pacche e ringraziamenti.

E ricomincia la tregenda.

Anche qui botta di culo. Un “pappa” portoricano con una puttana di non identificata nazionalità si impietosiscono e riescono a farmi capire quale metro devo prendere…..poi c’è il treno.

Sarebbe un’altra metro, ma qui lo chiamano treno e corre all’aperto verso l’estrema periferia di Parigi. Sono due ore che sto girando su vagoni di ogni sorta, ho già fatto un lungo viaggio in treno da Roma fino qui ed ora sono stanco. Mi appoggio al finestrino e socchiudo gli occhi dietro agli occhiali neri.

Questi vagoni hanno i sedili doppi, che si guardano a due a due, tipo scompartimento di treno di terza classe, da entrambi i lati della carrozza. Perché ve lo spiego?….Ora arriva il bello…..

Io me ne sto li che dormicchio quando salgono su due neri, con tanto di giubbotti ed insegne di banda sulla schiena. Danno un’occhiata in giro e si vanno a sedere nella fila opposta alla mia……ma mica insieme…..uno da dove mi può guardare….l’altro nei sedili subito dopo dove non lo posso vedere io e, man mano che la gente scende, noto che quello che mi guarda inizia a fare segnali all’altro tirando calcetti sotto il sedile…..

Ancora due stazioni e sono arrivato…..prima scendo meglio è”….e rimango lì, testa appoggiata al vetro, senza muovermi.

Alla stazione successiva scendono tutti e…..rimaniamo soli io ed i miei simpatici amici. Non so quali fossero veramente le loro intenzioni, so solo che ad un certo punto si alzano contemporaneamente e si spostano verso di me, che sembro addormentato.

E mò voi due vorreste pure rapinà un coatto romano?”. Penso io che sono già incazzato più nero di loro. E come mio solito nei momenti difficili…tento il bluff.

Giro lentamente la testa verso di tizi con il mio miglior ghigno da bastardo ed infilo una mano in tasca. Ho il mazzo delle chiavi di casa, ma loro mica lo sanno. Sulle facce gli si stampa la sorpresa, tentennano un attimo e tirano verso la porta…..peccato che è anche la mia fermata.

Deciso, carico il sacco in spalla e li seguo. A questo punto hanno paura loro…gli si legge negli occhi….forse credono di aver incontrato uno psicopatico. Ed io, in questo momento, lo sono. Le porte si aprono e quelli schizzano fuori ed iniziano a correre…ed io dietro, naturalmente.

Arrivano ai tornelli d’uscita. Li saltano al volo e via su per le scale. Io mi fermo un attimo e tiro un sospiro. La gente intorno si è vista tutta la scena e ride divertita……mica capita tutti i giorni di vedere un punk incazzato che insegue due di una banda che scappano come lepri.

Finalmente arrivo a casa dei miei amici.

Abitano in un quartiere carino, come quelli che vedi nei film francesi, una specie di paesino lindo e pinto. Io, almeno, me lo ricordo così.

Suono alla porta e non mi risponde nessuno.

È l’ora di pranzo, stanco e sfatto, ritorno sui miei passi e mi infilo in, un’osteria diremmo noi, un ristorantino da quattro soldi. Mi siedo ed ordino da mangiare in inglese, …ormai mi sono arreso. Mangio qualcosa, sinceramente neanche mi ricordo che…e chiedo il conto….sopra c’è scritto a penna “l’anglais”. Appunto. All’estero per italiano non mi ci prende nessuno e mi torna in mente lo scozzese che, in Italia, mi aveva preso per un punk gallese.

Torno a casa dei miei amici e provo a suonare ancora. In quel momento esce di casa la vicina che mi guarda e mi dice che è inutile che suono….sono partiti ieri per fare il fine settimana al mare….lei gli deve anche dare un telegramma.

Perfetto….Faccio un paio di respiri, tiro tre saracche mentali e riparto per la stazione…tanto ormai la strada la conosco.

Il viaggio sarà lungo e pure qui ne succedono di tutti i colori.

Becco uno scompartimento con due italiane. Una è un angelo, l’altra meno. Per farmi contento mi si piazza nello scompartimento un vecchiaccio, grasso, zoppo e cattivo, che ingama subito le mie intenzioni e mi fa capire chiaramente che romperà le uova nel paniere a tutti i costi per pura invidia.

Io amicizia con le tipe la faccio ugualmente, poi si vedrà. Magari al bastardo prende un colpo prima di arrivare in Svizzera… scarico il cadavere a Basilea e non se ne parla più.

Andando al cesso, ti pesco due torinesi che rollano. Belle le ferrovie di quei tempi, ancora si fumava e come…..Fraternizzo e condivido, che dopo tutti i guai passati ci vuole proprio. Chiacchiera e fuma, il più vecchio dei due torna dalla moglie che è rimasta con il figlio di pochi mesi e l’altro si installa con me nello scompartimento delle tipe ed inizia a rollare… il vecchiaccio non molla.

Si sconvolge con il fumo passivo, ma non se ne va…anzi, inizia a godersi la battaglia tra galli per la conquista della bona. L’altra, ha capito che aria tira e fa finta di dormire.

La tipa sveglia invece è proprio sveglia….fa la preda, ma conduce il gioco.

Mostra due metri di gambe, mentre la minigonna va su che è un piacere. Respira profondo con la quarta che sta per esplodere fuori da una camicetta con pochi bottoni che resistono a stento. Sbatte gli occhi e sembra la vittima sacrificale pronta ad arrendersi al vincitore mentre noi ci giochiamo una partita di sottintesi e allusioni per averla. Quella “civetta”, e ci cogliona a tutti e due. Finiamo arrapati ed inconcludenti….col bastardo che ormai è strafatto pure lui e sghignazza contento che andiamo in bianco.

Capisco l’antifona. Mollo la partita e mi addormento, tanto sono distrutto.

Quando mi sveglio siamo già in Italia. I torinesi sono scesi e le tipe ancora dormono……Il vecchio bastardo no. Gli passo davanti per andare al cesso e quello alza il bastone, mi blocca la strada e sibila:

L’amica tua”. Ed indica quella che mi piaceva. “È venuto l’altro….non il cretino che stava insieme a te. Se l’è portata nell’altro scompartimento e se l’è fatta”. Mi guarda con occhi cattivi e sghignazza.

Ma brutto figlio di puttana!”. Penso tra me e me mentre smadonno. Così ci ho compreso dentro il vecchiaccio, lo sposato con prole e l’angioletto.

A Parigi non sono più tornato. Quel solo giorno mi è bastato.

Ormai sono passati tanti anni… ma la puzza di quella metropolitana ha impregnato il mio giubbotto di pelle e non è più andata via. Ancora oggi ogni tanto lo annuso e smoccolo.

Ci Voleva una Festa

 

Era stato un week end di routine. Serata stravaccata a casa di Anton G, il batterista, patatine fritte, ketup ed lp. Caccia notturna hai caghetti del quartiere. Pogata al Uonna. Il solito insomma, allagato da alcol e sudore. Ogniuno si era fatto di quello che aveva rimediato. Forza… lo sapete bene. Chi arrivava con i Roipnol e ci si ubriacava sopra, chi aveva soldi da buttare regalava rush di popper a tutti gli altri. Il fumo c’era sempre. Altre droghe erano storia privata.

Lunedì, ovviamente, di merda. Stesi sulla moquete ed i cuscini di casa mia, musica bassa e mente in cerca di sogni rilassanti.

Insomma stavamo li in attesa di niente quando arriva quello aggregato fresco fresco alla tribù che dichiara:

Sabato prossimo organizzo una festa. Io metto casa voi portate la gente”.

L’irresponsabile aveva pronunciato l’incantesimo supremo per le nostre menti contorte e l’anatema per l’immobile ed il vicinato.

“Questo è di fuori e non sa quello che ha detto”. Penso, mentre sghignazzo tra me e me e comincio ad avere visioni orgiastiche.

Incontro lo sguardo acceso da una luce demoniaca degli altri e capisco di aver sentito bene. Festa… ha pronunciato proprio la parola festa!

“E quanta gente dovremmo invitare?” Domando con aria subdola.

“Tutti… tutti i punks che conoscete… ”.

“Questo è completamente pazzo!” Ora ne ho la certezza. Anton G lo interroga.

“Ma allora hai una casa grande…”. Sonda il terreno.

“Basta una villa a……(periferia sud ovest romana)”.

“Villaaa? Cazzo se basta… ma sei sicuro?”

Era proprio sicuro! Pazzo, ma sicuro.

Durante la settimana parte il tam tam.

Festa”.

Dove?”

Villa”.

Bene…che porto?”

Alcol che non basta mai”.

Posso portà pure l’amici?”.

E certo che puoi!”

Bruciamo i giorni e fatidico arriva il sabato.

La tribù arriva curiosa e si trova davanti una villetta di tre piani, cantina e giardino linda e pinta. Tappeti e divani in pelle che strillano borghesia. Poco da dire che, qui è tutto mischiato tra borghesi e proletari e pure noi siamo un po’ e un po’.

I nostri si appropriano dell’immobile, montano l’impianto nel salone vista praticello esterno e si accomodano sui divanoni.

Sono le dieci e mezza. Metà delle bottiglie che hanno portato già vuote.

Ma qui non si vede nessuno…”

Arrivano…arrivano”.

Sono le undici. Paffa svaccata gioca con la patta di Tonio.

Ma avranno capito dove era la festa?”

Ma si e poi abbiamo chiamato tutti”.

Mezzora dopo:

Oh…ma stasera non c’è il concerto?”

Ma quale concerto…..”.

Qui ci hanno dato buca”.

Il padrone di casa sembra deluso……

Ma siete sicuri che li avete chiamati gli amici vostri?”

Cazzo se li abbiamo chiamati sti stronzi!”.

Gli alcolici sono quasi finiti. La musica procede bassina. Il morale è a terra.

Poi……arriva la sorella bastarda di Cenerentola.

E’ mezzanotte in punto e suonano al campanello.

Dietro la porta c’è un cristo di punk da un metro e novanta con un artiglio piantato in un orecchio e due bottiglie di vodka sotto il braccio.

È qui la festa?”. Inizia il pellegrinaggio. Uno dietro l’altro; chi solo, chi a gruppetti, sfilano dentro i punks romani… non finiscono più!

La porta rimane aperta che tanto è inutile chiudere e riaprire.

Uno si avvicina allo stereo…neanche sente cosa sta suonando…leva il disco e piazza il suo. Volume a palla e parte il sabbah.

Baci, abbracci, pacche sulla schiena e sul culo e pogo.

Siamo tanti ed è un bel vedere. Creste, borchie e occhi da pantere. Calze smagliate e magliette strappate. Risate, bevute, ballo e sballo.

Sul più bello arriva un vicino di casa in braghe da ginnastica e canotta.

Co sto casino non riesco a dormire!” Urla.

Ma non lo vedi che festa… che cazzo vuoi dormire domani è domenica… entra e divertiti”. Lo tirano dentro e gli piazzano un bicchiere in mano.

Sinceramente l’ho perso di vista dopo poco, ma mi piace pensare che si sia divertito perché non l’ho più sentito gridare e le guardie non le ha chiamate. Io ero troppo impegnato per verificare.


Alle cinque di mattina la casa è posseduta. La gente è ovunque.

Le stanze da letto sono più che al completo. Per questa notte niente sesso, tanto dentro non c’è posto e fuori tutti ballano… in ogni caso sono troppo di fuori e mi sto divertendo davvero a vedere cosa succede in giro. Un vero delirio!

Nel cesso del piano superiore hanno organizzato un dibattito. Quattro hanno riempito la vasca da bagno e sono li dentro a mollo incastrati per bene e chiacchierano tranquilli con un’altra decina mezzi nudi che aspettano il turno per infilarsi dentro. Chiedono di chiudere la porta che fuori c’è troppo casino…..

La cantina è piena di vini pregiati… o meglio, era piena di vini pregiati! Un’orda di punks intenditori sta degustando le ultime bottiglie tra scatoloni, ricordi della nonna e biciclette vecchie. Ci si trovano bene e si sono accampati.

In giardino pogano come forsennati sulle aiuole, quello che non è stato schiacciato dagli anfibi se lo sono fumato. Il dondolo oscilla pericolosamente sbieco sotto il peso di quattro o cinque collassati.

Il salone è una pista per surfisti tra vomito e liquidi vari. Fuori si piscia sulla siepe. Non è cattiveria… il cesso è occupato. Per dire la verità ce ne sono altri due, ma uno è pieno di bottiglie di alcolici e l’altro, al terzo piano, è materialmente irraggiungibile per quei punks ubriachi, ovvero tutti. Pure le scale vanno bene per sesso e chiacchierate, così sono zeppe come quelle della metro all’ora di punta.

La musica martella a pieno volume.

 

La luce del giorno porta via voglia ed energie. Così come si è riempita, la villa si svuota. Una pacca, un abbraccio e tutti via alla spicciolata. Facciamo un giro a raccattare i superstiti. Due li troviamo felicemente impegnati dentro un armadio. Quattro sono sul tetto a fare il saluto al sole nudi come vermi. Insomma tutto è bene quel che finisce bene.

Ci voleva una bella festa… e complimenti per la casa”.

Mica è mia”. Tira fuori il nostro ospite, mentre si guarda intorno con aria distratta.

Un mio mezzo parente è partito per un mese e mi ha lasciato le chiavi per controllare che non succedesse niente”.

Buon Viaggio

Sono le sei ed è l’ora del thè. Così lo preparo per me, Guelfo e Andy che è appena tornato da Amsterdam ed ha portato doni. Lo sorseggiamo lentamente gustandolo insieme all’aspettativa…..

Andy apre una scatolina istoriata e ci porge una stellina rossa per uno.

Buon viaggio….”.

La buttiamo giù con il thè che scalda stomaco è gola in un settembre soleggiato e rovente di suo e ci andiamo a vedere il tramonto.

Sinceramente non sono mai stato un moderato, amo troppo sentirmi addosso la vita… e me l’assaporo goccia a goccia fino a saturarmene con ogni singola sfumatura di colore, ogni traccia di sapore, ogni unica nota.

E proprio questo volevo fare… Immobile, rilassato, la mente libera di vagare fino a perdersi in quel sole che affogava nel mare… fumando con i miei amici il miglior fumo olandese in attesa dei quel che sarebbe accaduto.

E accadde… ma alcune ore dopo.

La bomba esplose improvvisamente in discoteca senza alcun preavviso.

 

Guarda quella!”. Andy è accanto a me ed un istante dopo è immobile, al centro della pista, davanti ad una tipa che balla, ed anche io la vedo…

Danza al rallentatore moltiplicandosi in decine di silhouettes, le tette in fuga in avanti, le chiappe che si proiettano all’indietro al ritmo della musica……

Sbando. Mentre il mondo si ricompone, vado al bar a bere… sorseggio un drink ed ogni tanto riguardo la tipa. Lei si moltiplica ancora… poi è il caos.

Un tipo mi urla qualcosa in faccia… io non capisco e gli imbruttisco. Altri amici intervengono e ci ritroviamo fuori.

Manfredi, ma che cazzo combini? Ti stavi bevendo il suo cocktail e ti sei pure incazzato!”. Mi fa uno e poi anche agli altri mentre volano in orbita. O almeno a me così pare!

Non voglio sapere cosa avete fatto ma stasera la disco non fa per voi”. Sentenzia un fighetto che conosciamo da sempre ma che abbiamo lasciato al palo del conformismo più pedestre molto tempo fa. Anche lui vola, ma basso…

Abbracci e scuse e partiamo per la spiaggia… meglio un po’ di quiete.

Giovane, con la testa piena di Lobsang Rampa e Castaneda, Tarahumara e Tungusi, volevo affrontare il mio viaggio verso la conoscenza. Mi sono ritrovato su quella spiaggia, il mare davanti e la pineta dietro le spalle a cercar la strada della verità tra le visioni… ed è qui che comincia il viaggio… i tre varcano la soglia di un’altra realtà.

Prima viene la fame. Guelfo, persona di grande esperienza, ha con se della carne. Non chiedetemi come uno che esce dalla discoteca possa ritrovarsi in borsa (ah, i bei tempi della tolfa!) una bistecca, perchè non lo so e sinceramente neanche m’interessa. Hanno bisogno di un fuoco. Iniziano a raccogliere legna ed aghi di pino tra stupori e meraviglie… Dovrei aiutare ma l’impresa non è facile in quel mondo dove ogni oggetto cambia forma come lo fissi. Gli aghi di pino sono lombrichi, i rami, serpenti… tutto si muove e muta.

Alzo gli occhi per fermare il mondo, se non lo fissi è quasi normale… ed ho il primo flash di conoscenza. Gli alberi…. Oddio, gli alberi sono vivi…..

Vedo la linfa che scorre come fuoco nelle loro vene… e vedo il loro respiro. Le chiome si espandono e si contraggono all’unisono. È un moto lento e maestoso che fa eco al mare, alla terra stessa… il la del diapason, la nota assoluta… è l’hom del mondo. Tutto è energia che fluisce fuori e dentro di me… ed io mi disseto, piedi piantati al suolo e braccia spalancate… sono un albero anche io… e li sento, li capisco, parlo con loro… hanno paura delle fiamme!

“Dobbiamo allontanarci… spostare il fuoco più vicino all’acqua”. Dico agli altri e loro spostano tutto… senza chiedere spiegazioni.

“Qui va bene”. E siamo in pace. Gli alberi non dicono più niente.

Con il fuoco è tutta un’altra storia. E’ di umore mutevole e giocherellone.

Ne serve di più per cuocere la carne. Così istintivamente avvicino le mani ai suoi lati e le muovo rapidamente verso l’alto per spingere in su la fiamma… e quella risponde e s’innalza.

“Cosa hai fatto?”. Sbotta Andy. “Fallo ancora”.

E la fiamma sale nuovamente. Siamo estasiati e cominciamo a giocare con il fuoco. Con i gesti delle mani lo chiamiamo alla vita… e lui risponde!

Raccolgo la fiamma nel pugno e la lancio in alto e quella esplode mezzo metro più in alto come un minuscolo fuoco d’artificio…

Giochiamo senza il tempo con lo stupore… poi Guelfo si ricorda della bistecca e la tira fuori. La fissa ad un pezzo di legno ed inizia a cuocerla. È quasi pronta, o almeno così sembra al cuoco, quando cade nella brace…Ritrovarla è impresa che richiede il massimo impegno da parte dei tre amici. Guelfo smoccola, gli altri ridono e tutti cercano di capire in quel gorgo di colori e forme in continuo movimento quale potrebbe essere la bistecca. Flash improvviso. Guelfo assatanato sembra un demone davvero. Manfredi ed Andy si scambiano uno sguado d’intesa…si, lo vedono entrambi. Alla fine lo strano oggetto salta fuori e viene sbranato dagli aborigeni. Bruciacchiata, piena di cenere, ma con su un po di sale…..

Ora possono iniziare il pellegrinaggio in quel mondo cangiante.

Tutto è luce. L’anfetamina necessaria a sostenere il viaggio dilata le pupille. Quelle stelline rosse sono davvero potenti. Il fumo che i tre continuano ad inalare aggiunge il suo. La spiaggia è liquida giallo “primero”, l’acqua è una lastra solida di acciaio con elettriche sfumature violacee. Meglio cambiare prospettiva… ed i tre si ritrovano in acqua a guardare la spiaggia fluida che… frange sul mare.

Nuova sorpresa… un polpo. É Octopus dei Gentle Giant e sta lì che gioca con loro, allarga e chiude i tentacoli muovendosi tra le loro gambe senza fuggire… senza alcun timore… loro percepiscono che lui sa, sente il loro stupore e mostra la sua bellezza.

Guardami con altri occhi, senza aggressività ed io danzerò per te”. Gli dice e loro capiscono ed il tempo si ferma ancora.

Il mondo della spiaggia ha dato il suo meglio ed i tre decidono di avviarsi verso casa, ma il viaggio è lungo e riserva ancora sorprese.

C’è una scorciatoia attraverso il parco di un albergo ed entrano nel mondo dei faeries….. un viottolo di pietre ben curato, con lampioncini bassi ad illuminare artistiche decorazioni di pietra ricoperta di muschio e piante ornamentali. Manfredi si china sulla prima… ed un paesaggio incantato gli si espande davanti agli occhi.

“Venite a vedere il mondo delle fiabe!”. Esclama e tutti e tre si perdono.

Ogni lampione è un’isola di quell’universo incantato dove tutto acquista colori incredibili e gli insetti notturni diventano fate che volano intorno alla luce.

E ritornano bambini.

L’ultima rivelazione l’avranno davanti ai cornetti caldi, sfornati a salutare la notte. La pasticceria è piena di tutti i nottambuli, usciti dalle discoteche, che compiono il rito finale prima di andare a dormire come vampiri. I tre amici sono in mezzo a loro, ma è come se nessuno li vedesse.

Parlano, urlano… le idee si trasferiscono tra di loro compatte… mattoni volanti che entrano nella mente… loro si sentono, ma chi gli sta vicino neanche si gira.

La gente non ascolta, ogniuno è solo perso in se stesso……

Gli effetti di quell’acido dureranno ancora a lungo… sfumerà pian piano nei tre giorni seguenti, ma la magia di quella notte rimarrà per sempre.

Avevano vissuto tutti e tre lo stesso trip ed è già una cosa incredibile.

Per quanto mi riguarda… ancora oggi ho un rapporto molto particolare con gli animali, con la coda dell’occhio vedo il respiro degli alberi, percepisco la vita anche nelle cose inanimate, sento dentro di me il ritmo del mondo e conosco il senso profondo della solitudine delle persone.

La Rivolta del Pane

La tensione aumenta ad ogni istante. Il ristorante è pieno di fricchettoni, chi mangia il parmigiano grattugiato dalle ciotole, chi fronteggia titolare e camerieri. Questi ultimi hanno cominciato a togliere le posate, soprattutto i coltelli, trasferendoli rapidamente in cucina. In mezzo al caos un bambino guarda la scena con gli occhi sbarrati. Uno dei fricchettoni gli si avvicina rapidamente, gli mette una mano sulla spalla ed il ragazzino, dieci forse undici anni, lo fissa come fosse un orco.

Questo non è posto per te”. Gli dice, posandogli le mani sulle spalle e lo guida verso la porta. Con decisione, ma gentilmente, fende la ressa e lo porta fuori.

Và a casa regazzì”. Gli strizza un occhio e gli sorride, poi si gira e rientra.

Dietro di lui entra un uomo e inizia a gridare:

Fuori figli di puttana”. Il tipo che era appena rientrato si volta a fronteggiarlo e quello estrae una pistola e gliela punta giusto in faccia. Reazione immediata. Il fricchettone alza il braccio in una perfetta parata da karateca e il colpo di pistola fa un buco nel soffitto. Lui tira un pugno in faccia al tipo.

Quelli vicino fanno per assalire e disarmare l’aggressore, ma questo si gira, scappa fuori ed inizia a correre verso il molo del porto. I ragazzi gli vanno dietro.

Dal nulla escono un gruppo di portuali, scaricatori e manovali locali che si frappongono. Basta un cenno d’intesa. I ragazzi sono allenati ed organizzati, colpiscono duro e veloce, la rissa dura poco. I portuali rimangono a terra, ma lo sparatore sta già fuggendo in gommone.

 

Quell’estate aveva bisogno di riposarsi, insieme ad altri due amici erano partiti per un isola del sud che si diceva fosse un paradiso per i freak. Un campeggio libero, un’oasi di pace, amore e musica.

Un chitarrista, un violinista, chitarrista anche lui, che suonava in un gruppo che faceva musica irlandese ed un altro amico d’infanzia. Due tende, zaini così pieni che solo la gioventù può trasportare e tanta voglia di sole e mare. Anche un narghilè che non ci stava male.

Era l’estate del ’77 e tutti avevano bisogno di rilassarsi e staccare con la mente ed il corpo dalle tensioni dei giorni passati. Era stata pesante in città. Il movimento aveva lottato, quasi vinto… poi si era disintegrato.

Prima gli scontri contro il nemico comune, poi le risse tra compagni. Le accuse, la confusione. Sul campo erano rimasti troppi morti e feriti. Lui era uno di quelli sopravvissuti, ma le ferite nell’animo erano lontane dal guarire.

E così erano sbarcati su quell’isoletta. Un piccolo porto, con un ristorante, lo spaccio locale, l’unico albergo, il campeggio organizzato con annessa spiaggetta e poche case. Lì c’era anche l’unica fontanella di acqua potabile che veniva rifornita regolarmente da una nave cisterna. Sul lungomare qualche freak vendeva oggetti di cuoio o collanine di perline.

Sul monte il paese vero è proprio, luogo misterioso che non avrebbero mai visitato.

Ma la loro meta era un’altra. Alla sinistra del porto si protendeva una lingua di terra che finiva con una erta collina sassosa… dietro c’era freakland. Il campeggio libero dove si radunavano i giovani di tutta Italia. Due chilometri a piedi su un sentiero che si snodava tra rocce e fichi d’india sotto un sole che bruciava la pelle.

Avevano piantato le tende in uno spiazzo rialzato sul mare. Sulla minuscola canadese del nostro amico svettava la canna del narghilè.

Quell’estate erano confluiti in quel posto, tribù di indiani metropolitani, freak vari, cani sciolti e appartenenti all’autonomia operaia di Roma e Milano. Tutti in cerca di pace.

Il mare è stupendo. L’acqua è calda e piena di planule viola delle meduse in riproduzione. Pesci ovunque. Coloratissime donzelle vengono a mangiare dalle mani, sembra un paradiso tropicale. La minuscola spiaggia ghiaiosa è circondata da rocce che formano piattaforme dove sorgono le tende e i ripari costruiti con le canne prese da un’enorme canneto che circonda la piccola insenatura. Sembra davvero una riserva indiana.


 

Qui ogniuno fa quello che vuole. Chi è nudo, chi si dipinge, chi si riempie di monili e collane. Parei e cappelli, qualcuno ha anche penne in testa o appese ai vestiti. La notte fa freddo e si accendono i fuochi. Si gira da uno all’altro si chiacchiera, si fa amicizia, ci si scambiano racconti e canne.

Una tipa dipinge, un altra disegna a carboncino, qualcuno scrive. I nostri amici fumano e suonano. Alle sei c’è il rito del thè.

Il tipo è lo stregone locale. Si muove nella natura con sicurezza, ha i suoi aiuti. In una spedizione sull’erta collina sassosa guida gli amici su sentieri invisibili seguendo il richiamo dei corvi. Non dei gabbiani che abbondano, per lui gracchiano corvi che sistematicamente gli indicano le svolte da seguire, gli altri non capiscono ma vedono, sentono e credono.

Ogni pomeriggio prepara il thè aggiungendoci erbe che va cercando il giorno sulla collina sassosa. Tutte le volte riporta indietro anche i capperi selvatici che tutti si mangiano. Stanno lì, rilassati mentre bevono la bevanda calda e fumano. Altri si avvicinano curiosi.

Lui tira fuori un sacchetto di pelle, estrae dei legnetti che sembrano piccole ossa d’uccello, li lancia a terra e inizia a leggere la vita di chi gli sta davanti… qualche volta piccole visioni del futuro, dato che le possibilità del divenire sono sotto l’effetto di troppe variabili. È molto raro che gli capiti di vedere un futuro predeterminato e quando accade lui vede le radici profondamente piantate in un passato così forte da influenzare per sempre la vita di quella persona.

La voce si sparge ed ogni giorno alle sei arriva qualcuno, si siede ed il rito si ripete.

Legge i legni solo per chi non ha mai visto prima, devono stare in silenzio, senza dire nulla che possa influenzare le sue visioni, solo quando finisce possono parlare. Fare queste cose ha un prezzo e lui si stanca molto, ma le facce sorprese lo ripagano dello sforzo. In realtà non lo fa ne per stupire ne per gli altri, ma per se… vuole capire, conoscere le storie degli altri per capire se stesso, sa che in fondo siamo tutti simili.

Altre volte siedono e fumano secondo un suo rituale. Il fumo è un amico gentile, col suo metodo gli si permette di esprimersi a pieno. La gente si rilassa, si perde in se stessa e partono le visioni.

Accadono anche imprevisti comici. Una mattina qualcuno bussa alla sua tenda, o meglio la scuote pesantemente. Lui esce carponi e si trova faccia a faccia con un cespuglio nero.

Che c’hai del fumo?”. Chiede la milanese. Lui alza lo sguardo ancora assonnato, vede due tette della madonna e una cascata di capelli biondi.

Tinta eh”. Farfuglia. No, non vende fumo, le offre una canna del buongiorno e gliene regala un’altra.

Insomma stanno lì tutti felici, contenti, strafatti e non danno fastidio a nessuno.

Però qualche problema c’è… hanno tutti fame. Finite le poche provviste che si sono portati dietro scoprono che procurarsi da mangiare non è facile.

Tutti i giorni, taniche alla mano, devono compiere il pellegrinaggio alla fontanella dell’acqua potabile e cercano di fare la spesa. Tutti loro hanno pochi soldi e lo spaccio locale sembra un orafo.

Quella mattina la prima fermata è al forno. Su una mensola ci sono decine di pagnotte calde appena sfornate. Il nostro amico ne chiede una.

Quelle sono per il ristorante”. Gli rispondono. “Torna dopo”. E lui torna.

Altro pane.

Questo e per l’albergo”. Lui allora va allo spaccio e chiede una scatola di fagioli.

Quattrocento lire”. Fa il titolare. Cazzo che furto… a Roma li paga centodieci centoventi lire massimo. Si guarda in tasca, conta i soldi e ne chiede un’altra.

Ottocentocinquanta”. Fa il conto il tipo.

Come ottocentocinquanta…quattrocento e quattrocento fa ottocento a casa mia”.

Si ma sono aumentati… adesso!”. Risponde cattivo il bastardo.

Il nostro inghiotte il rospo, prende le scatole di fagioli ed esce smoccolando. Si carica la sua tanica d’acqua e ripassa al forno, che tanto è di strada. Il profumo del pane caldo gli riempie il naso e la pancia.

Questo è per il paese”.

Insomma gli fanno capire che per lui il loro pane non c’è. A questo punto è troppo. È davvero incazzato.

Torna dalle tribù e si tiene un consiglio di guerra. Tutti hanno fame ed hanno subito le stesse angherie. Qualcuno spiega che i campeggiatori liberi non li vogliono. Lì è gradito solo chi fa uso delle strutture locali.

Ma noi gli portiamo soldi lo stesso, saranno pochi, ma mica stiamo a Saint Tropez”. Dice un altro. Sembra che hai locali non gliene freghi nulla, è così e basta. La cosa puzza e la risposta è unanime.

Benissimo… serata al ristorante!

Ovviamente si paga….quello che si può. Faranno una bella autoriduzione.

E sapete come è andata a finire. Non hanno mangiato ed uno del posto ha provato a sparargli.

Arriva una camionetta dei carabinieri dal paese di sopra. Loro lì chiamano per raccontargli l’accaduto, ma quelli si spaventano e scappano. Il porto viene occupato, gli abitanti stanati casa per casa ed interrogati. Esce fuori un simpatico quadretto. Tutte le attività commerciali appartengono al sindaco e a suo cognato e loro hanno deciso che il campeggio si fa solo in quello di loro proprietà, obbligando i paesani ad adeguarsi alla loro volontà. Già, per chi non è d’accordo c’è il tipo con la pistola.

Peccato che dei giovani che si sono fatti quella primavera nelle strade delle grandi città non sono molto impressionabili ne ricattabili. Anzi sono ancora più incazzati.

La mattina dopo arriva un aliscafo, al posto del traghetto, pieno di carabinieri. Scendono e si schierano. Il servizio d’ordine della tribù si schiera a sua volta e li fronteggia deciso. Chiamano l’ufficiale in comando e gli raccontano tutta la storia. Gli fanno vedere anche il colpo di pistola al ristorate, cerchiato come nel miglior poliziesco. Qualcuno ha scritto la storia sul muro bianco, sono artisti. Gli spiegano che hanno provato a far intervenire i carabinieri locali. L’ufficiale conferma… hanno chiamato i rinforzi.

La situazione è chiara. Strozzinaggio sui generi alimentari, provocazione, aggressione a mano armata… tutto in odore di mafia e con le forze dell’ordine locali che non sanno niente.

Cominciano le trattative. Noi siamo tanti e organizzati. L’ufficiale ha per le mani una situazione spinosa; è evidente che il quadro che gli era stato descritto era ben diverso e non si aspettava quello che ha trovato. Non dei vandali esagitati, ma giovani esasperati, affamati e decisi che hanno smascherato gli altarini del posto.

Garantisce che verrà condotta un indagine approfondita, però l’isola deve essere sgombrata. Ci riportano a terra loro… gratis, ma a gruppi, non tutti insieme. Fesso non è, se ci mette tutti su un traghetto magari lo dirottiamo per il Marocco.

Assemblea. Volevamo solo stare tranquilli e abbiamo trovato casini anche in vacanza, non riusciamo a sfuggire ad uno stato colluso e corrotto. Accettiamo, che non vogliamo più combattere… siamo stanchi, schifati.

È appoggiato alla murata del traghetto e si sta fumando una sigaretta. Un tipo, con i capelli lunghi, ricci e biondi, gli si poggia vicino. Accende una sigaretta anche lui.

Ieri sera hai salvato mio fratello”. Gli dice tranquillo.

Salvato chi?”. Risponde lui perplesso.

Il bambino al ristorante”. Lui ricorda.

Ma certo… che centrano i ragazzini in queste storie”.

L’altro lo guarda negli occhi e sorride. Gli terrà compagnia finchè non prenderanno il treno per Roma. Sarà scorta ed ospite gentile.

Qui fanno il miglior gelato di tutta Messina… siete miei ospiti”. Non parlano dell’accaduto, ma si capiscono. Lui è come loro.

Una Canzone

Sono qui davanti a questa tastiera che giro intorno ad un anno della mia vita senza cavare il ragno dal buco.

Faccio parte di quella generazione negata….completamente cancellata dalla storia di questo paese….siamo esseri ed idee da nascondere, sotterrare sotto quella pietra tombale con la scritta “Anni di piombo”.

Era il 1977.

La nostra storia la raccontano i vincitori e quelli che con loro si sono omologati….il resto sono frammenti sparsi nella rete che escono da poche realtà e noi che c’eravamo parliamo e ricordiamo dietro porte ben chiuse……spesso non facciamo neanche questo…..non ci fidiamo…non possiamo dire la nostra verità.

Ma allora perchè sto qui a scrivere queste cose direte voi…..

Perchè quello che stiamo vivendo oggi mi riporta indietro nel tempo con troppe analogie e troppi se……. La crisi, i licenziamenti, una politica ingorda e cialtrona, travolta da scandali e accordi indecenti, le ingerenze delle potenze straniere ed un modo di fare capitale che stava cambiando ed oggi mostra la sua vera faccia ed il suo progetto di società spietato e disumano. Mi bastano queste poche parole a rappresentare una analisi politica che ogniuno può completare con il suo quotidiano. Per noi il personale era politico.

Oggi vedo la rassegnazione e l’accettazione dell’ineluttabile negli occhi delle persone. La rabbia repressa da un’apparente impotenza davanti ad un potere economico che ha reso servi anche i politici.

Noi avevamo ancora ideali e speranze di un mondo migliore ed avevamo il coraggio di chiedere….di esigere e tentare di realizzare le nostre speranze…..questo è il punto credevamo e speravamo. Avevamo il senso di una società condivisa ed equa.

Roma era esplosa…l’Italia intera era esplosa e quei giovani che sognavano il futuro avevano invaso le piazze…..ovunque, comunque. Da Milano a Bari, Bologna e Firenze…..scegliete pure una città e troverete università occupate, scuole in autogestione e le strade piene di ragazzi in rivolta per la prima volta insieme ai lavoratori e con il riconoscimento della gente comune. Con le donne protagoniste di una lotta di affermazione di se che è tuttora in corso. Con la politica che annaspava e tremava…..perchè questa è la verità…hanno avuto paura di perdere il potere……li abbiamo fatti tremare sul serio.

Una cosa la voglio dire con chiarezza….ne ho un ricordo fiero e bellissimo….nonostante tutto…contro tutti!

I loro passi creavano echi per i corridoi di Lettere. Era sera ed erano stanchi, ma ancora eccitati dalla giornata e felici di essere lì. 

Durante il giorno erano stati alla manifestazione, poi all’assemblea ed infine avevano deciso di partecipare all’occupazione dell’università….erano solo studenti medi, non universitari. Ma non aveva importanza, volevano esserci anche loro. 

Sono quasi tutti chiusi nelle aule dove si sono sistemati per la notte, nell’ufficio della presidenza c’è ancora una riunione, altri si sono sistemati lungo i corridoi e dormono o parlano sottovoce. 

All’angolo tra due di quegli immensi corridoi alcuni ragazzi ed una chitarra appoggiata ad una cattedra.

Mi avvicino. “Posso”. Chiedo. “Fai pure…”.

Prendo lo strumento….mi siedo e comincio a suonare…..

Le note si spandono nell’aria e cominciano a rimbalzare in quegli spazi pieni di echi. Cala il silenzio tra i presenti…tacciono, si abbandonano cullati dalle note che ci portano tutti in un attimo di quiete, sospeso nel tempo e nello spazio, ogniuno perso nei propri pensieri, ma con la certezza di non essere soli…….è la mia ninna nanna a quei giovani guerrieri con i sogni negli occhi ed il cuore nelle mani.

Quel momento è ancora con me…..ogni sensazione, ogni singola nota di quella canzone.