Tutto inizia con una moneta.
Proprio così, ed è a causa sua che mi ritrovo a Parigi, in una tiepida giornata di giugno, solo e senza parlare una parola di francese o quasi.
L’estate prima ero al mare e mi ero ritrovato con altri miei amici. Come al solito avevamo ospiti rimediati neanche si sa come. A casa loro una coppia di francesi. Lei bionda e lui di origini magrebine. Da me c’era un esule scozzese in fuga che era convito fossi un punk gallese e mi parlava in gaelico, ma questa è un’altra storia.
Una mattina arrivo in spiaggia, una bella caletta riparata dalla scogliera di un promontorio che si stende dritto a tagliare il mare, ed i miei amici mi mostrano soddisfatti i resti di una barca bruciata ed affondata che hanno trovato la sera prima appena due metri sotto l’acqua proprio di fronte agli scogli. Mentre guardo perplesso quelle tavole bruciacchiate noto un pezzo di legno spugnoso con un perno dello stesso materiale a saldare una giuntura.
“Dove avete trovato ‘sta roba?”.
“Laggiù…vedi la seconda punta…”. Mi dicono indicando la scogliera.
“Questo non è di una barca moderna…è di una nave romana”.
“Macchè dici”.
“Dico”.
La cala è un porto naturale ed il mare ogni tanto porta a riva qualche cosa di antico, lo sanno tutti.
Dopo un po’ di discussioni siamo sul posto….pinne, mute, maschere e boccagli e giù in acqua. Si c’è un gozzo bruciato, ma sotto c’è altro. Smanaccia e smuovi la sabbia, spunta fuori un pezzo di ponte di un’imbarcazione ben diversa. Seguiamo come possiamo il corpo della nave. È piccola e a prua troviamo dei rimasugli del carico. Qualche anfora sfondata e cocci vari. Si è proprio romana! È andata a schiantarsi contro la scogliera mentre cercava riparo da una tempesta duemila anni prima.
L’eccitazione sale alle stelle. Da bravi archeologi improvvisati rischiamo la sincope per tirare fuori qualcosa.
È il francese che esce dall’acqua urlando eccitato, incastrata tra il paiolato ha trovato una moneta. È d’oro ed è perfetta…come fosse stata coniata il giorno prima. Tiriamo avanti fino a sera, ma non troviamo altro….la moneta spetta a chi l’ha trovata, l’avventura l’abbiamo avuta.
Le monete romane normalmente non valgono molto….ma quello è un aureo d’oro di Cesare Ottaviano Augusto in perfette condizioni e vale davvero…lo so.
“La terrò come un portafortuna in ricordo di questa estate con voi”. Ci dice commosso.
Per i perbenisti……abbiamo avvisato le autorità e non ci hanno creduto….pensavano ad uno scherzo. Le ricerche nella zona le verranno a fare solo molti anni dopo e solo perché un amico archeologo ci ha dato retta. La faccenda si chiude qui.
I francesi dopo un certo tempo ripartono, ma ci lasciamo con una promessa……li saremmo andati a trovare a Parigi.
E così io adesso sono qui, dopo uno scambio di lettere lungo un anno ed un telegramma.
“Arrivo domani!”. Cioè oggi…un sabato di giugno ed alla stazione non c’è nessuno ad aspettarmi.
“Poco male”. Penso. “Avranno avuto un contrattempo”. Aspetto un po’ poi prendo la decisione….ho l’indirizzo…li trovo io.
Prima di tutto mi servono dei franchi e via dritto ad un baracchino di cambi in mezzo alla Gare de Lyon. Mi metto in fila e attendo…attendo….
La fila è ferma da un pezzo e quello davanti a tutti mi sembra un italiano….prendo la decisione e mi avvicino.
“Sei italiano?”
“No svizzero”
“Ah bene così mi capisci e capisci loro….perché la fila è bloccata?”.
“Non lo so”. Fa quello con aria perplessa. “Non mi vuole cambiare i soldi”. Dice indicando l’omino dietro al banco.
E li ho capito di avere gli astri contro.
“Posso provare io?” Chiedo sorridente.
“Fai pure…se ci riesci”.
”Benissimo”…tiro fuori un po’ di banconote e le spingo verso il cassiere.
Quello mi guarda e parla in gallico indicando un cartello. Serve ancora lo svizzero.
“Che ha detto il tipo?”.
“Che la tassa fissa di cambio sono 5 franchi”.
“Tutto qua?”.
“Proprio così”.
Sfodero il mio miglior sorriso in francese, faccio segno di si con la testa e riavvicino le banconote. Quello le rimanda indietro, mi guarda storto e ripete la litania indicando il cartello.
Sono calmo…prendo il cartello in mano e fingo di leggerlo con attenzione…faccio segno di si con la testa e rispingo avanti le banconote.
L’omino si incazza e comincia a sbraitare indicando il cartello e le rispedisce al mittente…..la fila è sempre ferma e c’è un problema!
“Tu capisci che vuole?”. Chiedo allo svizzero. Quello fa cenno di no.
Faccio un respiro profondo, mi levo gli occhiali neri, spingo avanti il danaro fissando il tipo fumantino negli occhi e pronuncio in perfetto romanesco:
“Si nu me cambi subito sti cazzo de sordi te faccio un bucio de culo grosso così!”. E mi aiuto nella traduzione con le mani.
Quello mi guarda negli occhi, guarda borchie e bulloni che ho addosso e capisce il mio francese. Prendo i franchi e vado via…la fila rimane li.
Questa è fatta…ora mi serve l’ufficio del turismo, così mi faccio dare un po’ di indicazioni. “Ti pare che in una stazione internazionale, in Francia, non parlano italiano?”. Mi dico…e per l’appunto l’impiegato scuote la testa.
“English?”. Butto là.
“Una volta..tanti anni fa a scuola”. Risponde quello.
“E che lingue parla buon uomo che lavora all’Ufficio Informazioni per turisti stranieri nella stazione internazionale di Parigi?”.
“Ma il francese, naturalmente, caro signore…”.
Ora badate bene io il francese non lo parlo, ma lo capisco a sufficienza….e dopo un po’ riesco a mettere su una discussione con quattro parole e molti gesti. È un dono che ho…dovunque vado pian piano riesco a capirmi con gli indigeni locali. Totò sarebbe fiero di me.
Il simpatico signore, sorridendo, mi spiega tutto. Le cose stanno pressappoco così: i miei amici abitano in una periferia fuori Parigi ed arrivarci in taxi è impensabile, a meno che non sia facoltoso. No.. una stanza d’albergo libera proprio non la posso trovare, è sabato e c’è non so che cavolo di expò e naturalmente non è rimasta neanche una stamberga. Si…posso avere una cartina di Parigi, con tanto di linee del metrò, con su la mia destinazione segnata con una croce e la metropolitana è fuori dalla stazione, ma li dovrò farmi aiutare da qualcun altro. Buona giornata e auguri.
Mi incammino…smoccolando in aramaico, magari mi capiscono pure, ma nessuno lo da a vedere.
La prima cosa che noto è che i francesi vestono proprio male, sembrano gli abitanti di un paesino di campagna dalle nostre parti, ed io che pensavo che fosse la patria dell’alta moda. Poi mi compare davanti una con un abito bianco attillatissimo, bottoni neri, cappello a falde larghissime e tacchi da equilibrista.
“Ma dove cazzo va questa conciata così alle nove di mattina?”. Ed il giudizio di un punk in fatto di moda è insindacabile.
Entro nelle viscere della metropolitana e smoccolo ancora peggio. A Roma c’è poco da sbagliare….le linee sono solo due…..qui è il delirio di una colonia di talpe, hanno traforato il sottosuolo di Parigi in ogni possibile direzione e su più livelli…e ora che faccio?
Cartina alla mano tento l’approccio con tutti quelli che mi capitano sotto tiro. Nessuno mi caga…..finché non becco un gruppo di operai rumeni che tra gesti e due parole di italiano mi caricano su una metro e mi declamano per tutto il viaggio Dante. Si avete capito bene…quelli capivano un po’ di italiano perché conoscevano la Divina Commedia a memoria. Scendiamo e risaliamo su linee diverse fino a quando ci siamo dovuti lasciare tra pacche e ringraziamenti.
E ricomincia la tregenda.
Anche qui botta di culo. Un “pappa” portoricano con una puttana di non identificata nazionalità si impietosiscono e riescono a farmi capire quale metro devo prendere…..poi c’è il treno.
Sarebbe un’altra metro, ma qui lo chiamano treno e corre all’aperto verso l’estrema periferia di Parigi. Sono due ore che sto girando su vagoni di ogni sorta, ho già fatto un lungo viaggio in treno da Roma fino qui ed ora sono stanco. Mi appoggio al finestrino e socchiudo gli occhi dietro agli occhiali neri.
Questi vagoni hanno i sedili doppi, che si guardano a due a due, tipo scompartimento di treno di terza classe, da entrambi i lati della carrozza. Perché ve lo spiego?….Ora arriva il bello…..
Io me ne sto li che dormicchio quando salgono su due neri, con tanto di giubbotti ed insegne di banda sulla schiena. Danno un’occhiata in giro e si vanno a sedere nella fila opposta alla mia……ma mica insieme…..uno da dove mi può guardare….l’altro nei sedili subito dopo dove non lo posso vedere io e, man mano che la gente scende, noto che quello che mi guarda inizia a fare segnali all’altro tirando calcetti sotto il sedile…..
“Ancora due stazioni e sono arrivato…..prima scendo meglio è”….e rimango lì, testa appoggiata al vetro, senza muovermi.
Alla stazione successiva scendono tutti e…..rimaniamo soli io ed i miei simpatici amici. Non so quali fossero veramente le loro intenzioni, so solo che ad un certo punto si alzano contemporaneamente e si spostano verso di me, che sembro addormentato.
“E mò voi due vorreste pure rapinà un coatto romano?”. Penso io che sono già incazzato più nero di loro. E come mio solito nei momenti difficili…tento il bluff.
Giro lentamente la testa verso di tizi con il mio miglior ghigno da bastardo ed infilo una mano in tasca. Ho il mazzo delle chiavi di casa, ma loro mica lo sanno. Sulle facce gli si stampa la sorpresa, tentennano un attimo e tirano verso la porta…..peccato che è anche la mia fermata.
Deciso, carico il sacco in spalla e li seguo. A questo punto hanno paura loro…gli si legge negli occhi….forse credono di aver incontrato uno psicopatico. Ed io, in questo momento, lo sono. Le porte si aprono e quelli schizzano fuori ed iniziano a correre…ed io dietro, naturalmente.
Arrivano ai tornelli d’uscita. Li saltano al volo e via su per le scale. Io mi fermo un attimo e tiro un sospiro. La gente intorno si è vista tutta la scena e ride divertita……mica capita tutti i giorni di vedere un punk incazzato che insegue due di una banda che scappano come lepri.
Finalmente arrivo a casa dei miei amici.
Abitano in un quartiere carino, come quelli che vedi nei film francesi, una specie di paesino lindo e pinto. Io, almeno, me lo ricordo così.
Suono alla porta e non mi risponde nessuno.
È l’ora di pranzo, stanco e sfatto, ritorno sui miei passi e mi infilo in, un’osteria diremmo noi, un ristorantino da quattro soldi. Mi siedo ed ordino da mangiare in inglese, …ormai mi sono arreso. Mangio qualcosa, sinceramente neanche mi ricordo che…e chiedo il conto….sopra c’è scritto a penna “l’anglais”. Appunto. All’estero per italiano non mi ci prende nessuno e mi torna in mente lo scozzese che, in Italia, mi aveva preso per un punk gallese.
Torno a casa dei miei amici e provo a suonare ancora. In quel momento esce di casa la vicina che mi guarda e mi dice che è inutile che suono….sono partiti ieri per fare il fine settimana al mare….lei gli deve anche dare un telegramma.
Perfetto….Faccio un paio di respiri, tiro tre saracche mentali e riparto per la stazione…tanto ormai la strada la conosco.
Il viaggio sarà lungo e pure qui ne succedono di tutti i colori.
Becco uno scompartimento con due italiane. Una è un angelo, l’altra meno. Per farmi contento mi si piazza nello scompartimento un vecchiaccio, grasso, zoppo e cattivo, che ingama subito le mie intenzioni e mi fa capire chiaramente che romperà le uova nel paniere a tutti i costi per pura invidia.
Io amicizia con le tipe la faccio ugualmente, poi si vedrà. Magari al bastardo prende un colpo prima di arrivare in Svizzera… scarico il cadavere a Basilea e non se ne parla più.
Andando al cesso, ti pesco due torinesi che rollano. Belle le ferrovie di quei tempi, ancora si fumava e come…..Fraternizzo e condivido, che dopo tutti i guai passati ci vuole proprio. Chiacchiera e fuma, il più vecchio dei due torna dalla moglie che è rimasta con il figlio di pochi mesi e l’altro si installa con me nello scompartimento delle tipe ed inizia a rollare… il vecchiaccio non molla.
Si sconvolge con il fumo passivo, ma non se ne va…anzi, inizia a godersi la battaglia tra galli per la conquista della bona. L’altra, ha capito che aria tira e fa finta di dormire.
La tipa sveglia invece è proprio sveglia….fa la preda, ma conduce il gioco.
Mostra due metri di gambe, mentre la minigonna va su che è un piacere. Respira profondo con la quarta che sta per esplodere fuori da una camicetta con pochi bottoni che resistono a stento. Sbatte gli occhi e sembra la vittima sacrificale pronta ad arrendersi al vincitore mentre noi ci giochiamo una partita di sottintesi e allusioni per averla. Quella “civetta”, e ci cogliona a tutti e due. Finiamo arrapati ed inconcludenti….col bastardo che ormai è strafatto pure lui e sghignazza contento che andiamo in bianco.
Capisco l’antifona. Mollo la partita e mi addormento, tanto sono distrutto.
Quando mi sveglio siamo già in Italia. I torinesi sono scesi e le tipe ancora dormono……Il vecchio bastardo no. Gli passo davanti per andare al cesso e quello alza il bastone, mi blocca la strada e sibila:
“L’amica tua”. Ed indica quella che mi piaceva. “È venuto l’altro….non il cretino che stava insieme a te. Se l’è portata nell’altro scompartimento e se l’è fatta”. Mi guarda con occhi cattivi e sghignazza.
“Ma brutto figlio di puttana!”. Penso tra me e me mentre smadonno. Così ci ho compreso dentro il vecchiaccio, lo sposato con prole e l’angioletto.
A Parigi non sono più tornato. Quel solo giorno mi è bastato.
Ormai sono passati tanti anni… ma la puzza di quella metropolitana ha impregnato il mio giubbotto di pelle e non è più andata via. Ancora oggi ogni tanto lo annuso e smoccolo.